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 2025  febbraio 14 Venerdì calendario

Lajolo, il dentista che a 93 anni indossa ancora il camice

Dottor Lajolo, a 93 anni indossa ancora il camice?
«Certo, sono un dentista e vengo qui in studio a lavorare».
Tutti i giorni?
«Tutti i giorni».
Roma Nord, palazzina elegante. Lo studio dentistico fondato da Luigi Lajolo (e dalla sorella Rosella) nel 1969 ha pareti chiare dove spiccano ironici manifesti d’epoca e foto storiche. Luigi ha una stanza tutta per sé: è vero che oggi la maggior parte dell’attività è nelle mani del figlio Carlo e del resto del personale, ma è anche vero che ogni mattina (abita al piano di sopra) il dentista 93enne non rinuncia alla sua routine quotidiana: una visita, un consulto, anche solo un consiglio.
È importante per lei?
«Mi fa sentire vivo».
Mi spieghi.
«Sono convinto che quando si smette di lavorare, e quindi di sentirsi “utili” a qualcuno, si smetta anche di vivere. Non bastano l’amore o gli affetti: conta quello che io chiamo “il nostro posto nel mondo”. Il mio è qui».
Ma se la sente di fare interventi chirurgici?
«Quelli delicati no, però ci sono vecchi pazienti affezionati che si fanno mettere le mani in bocca solo da me».
Come si arriva a 93 anni con questa voglia di vivere?
«Genetica, prima di tutto. E lo dico da medico, il resto sono chiacchiere. Anche perché se lei si aspetta da me il racconto di una vita morigerata, la freno subito».
In che senso?
«Vado a letto non prima di mezzanotte, dormo pochissimo e le mie abitudini alimentari non sono un modello».
Coraggio, racconti.
«Nel tè metto dieci cucchiaini di zucchero».
Come si dice a Roma, ammazza!
«Il tè mi piace dolcissimo, che cosa ci posso fare?».
Ma almeno nei grassi si dà una regolata?
«Le uova mi piacciono solo con tanta maionese. E al formaggio non rinuncio neanche morto».
E la glicemia come sta?
«Benissimo».
Beh ma allora, in quanto medico, che risposta si dà?
«Forse perché faccio tanto sport, cosa che va a riequilibrare il metabolismo. Almeno trenta o quaranta minuti al giorno, senza sgarrare mai».
Camminata veloce?
«Ping pong e lo sa perché? Perché oltre a mantenermi in forma, allena anche i riflessi. Tanti anziani pensano che basti fare attività fisica, ma è il cervello che bisogna tenere attivo, mi creda. Ho anche comprato la cyclette e il tapis roulant, ma quello non basta».
Le piace la bici?
«Dottoressa, l’ultima ciclolonga (lunga passeggiata in bicicletta, spesso condotta in gruppo, ndr) io non l’ho fatta secoli fa, ma nel 2007. E da Buenos Aires a Ushuaia, Terra del Fuoco. Ma in passato ne ho fatte altre memorabili, per esempio sono andato in bici da Czestochowa, in Polonia, fino a Mosca, quando ancora in Russia ci si poteva andare».
Ma in gioventù ha praticato sport agonistici?
«Giocavo a calcio, uno dei motivi per cui al liceo ero così popolare».
Partiamo dall’inizio. Lei nasce nel 1932 a New York ma cresce in un borgo dell’Astigiano, Vinchio.
«Papà era il medico condotto del paese. Vuol dire che faceva di tutto, dall’ostetrico al dentista. Era molto diverso, allora: il medico lo facevi per vocazione, mica per soldi o per carriera».
Un ricordo della guerra.
«Cannoni, sfollati, partigiani. Ma mi lasci dire una cosa: più che la guerra, io mi ricordo quando si moriva per vaiolo. Milioni di morti, poi per fortuna, il vaccino ci ha permesso di “eradicarlo”, come diciamo noi. Ecco perché oggi davvero non riesco a spiegarmi perché in tanti siano così ostili ai vaccini, cosa che abbiamo visto durante la pandemia da Covid-19. Mi creda, non parlo per fare polemica: lo dico con sincero stupore».
In una delle stanze di questo studio lei conserva un vecchio trapano manuale: forse oggi è impensabile anche il dolore che un tempo si provava sulla poltrona del dentista.
«Sono convinto che i tre cardini della salute di cui godiamo oggi siano: i vaccini, la radiologia e l’anestesia. Gli anestetici oggi ci permettono di fare cose impensabili anche solo fino a qualche decennio fa. La consapevolezza che oggi si vive meglio aiuta a progettare il futuro, anche in una età avanzata come la mia».
Torniamo a lei. Tanto zucchero, non si risparmia nemmeno i grassi. E il vino?
«Un bicchiere alla sera, ma non ho mai esagerato, nemmeno da giovane».
Almeno lei cena rispettando gli orari ormai raccomandati da tutti gli specialisti, cioè mai dopo le otto di sera?
«Ma per favore, io mangio verso le nove o anche le dieci di sera. Sono sempre stato allergico alle tabelle orarie: mangio quando ho fame e vado a letto quando mi va. Tanto in famiglia abbiamo sempre e tutti dormito poco, anche mia mamma non superava mai le quattro ore per notte. E non mi chieda se per dormire mi lascio cullare da qualche bel libro, magari da una lettura rilassante».
Qualcosa mi dice che lei è un tipo più «rock and roll».
«Tengo sempre una radiolina sotto al cuscino, ma non ascolto musica: voglio sentire che cosa succede nel mondo, ho bisogno di notizie, di informazioni, di risposte a tante domande. Perché vede, dottoressa, io questo mondo oggi qualche volta non riesco a capirlo».
Si spieghi.
«Per uno come me che è nato nel 1932, sembra assurdo sentir parlare con tanta leggerezza di bomba atomica. La memoria collettiva si dissolve con una facilità che non credevo possibile: davvero abbiamo dimenticato quello che è successo nella Seconda guerra mondiale?».
E quando legge, che cosa predilige?
«Poesia. Perché è fulminante, intensa, raramente noiosa. Mi piacciono i classici. Prenda Catullo, delle donne aveva capito tutto: diceva che loro ci dicono “ti amo”, ma quando lo fanno c’è sempre vento».
Ma qualche volta si diverte a fare il nonno?
«Ho due nipoti, Luigi e Giovanni, undici e tredici anni. Adesso cominciano a fare domande da grandi, insieme facciamo ragionamenti interessanti, non amo trattarli da bambini, ma da adulti».
Qualche «bocca» famosa che ha curato in passato?
«Raffaella Carrà. Veniva qui in studio e quando uscivo per chiamarla improvvisava un balletto audace sollevando la gamba. Che donna pazzesca. Una volta mi invitò alla tv, a quel programma che conduceva, come si chiamava, quello con i fagioli, ah sì, Pronto Raffaella. Andai a spiegare la storia dell’anestesia».
Dottor Lajolo, lei crede in Dio?
«Ho un fratello cardinale e con cui è tutto un affettuoso bisticciare tra cinismo, fede, scherzo e filosofia. Non so se credo in Dio, di certo c’è una cosa che non riesco a capire: ma com’è possibile che nasciamo già macchiati del peccato originale? Voglio dire: fai nascere un bambino, ascolti il suo primo gemito, lo vedi mentre va incontro alla vita e con quale coraggio puoi dirgli che è già guasto?».
E suo fratello che dice?
«Dà le risposte che deve dare, ma lui è molto serio. Ecco perché non sa che in gran segreto io ho scritto al Papa».
Per dirgli che cosa?
«Per dirgli che non può permettere che un Patriarca ortodosso definisca il conflitto russo-ucraino come una “guerra santa”».
E Sua Santità ha risposto?
«No, pazienza».
Però adesso suo fratello starà leggendo il «Corriere» e la scoprirà.
«Accidenti, è vero!».