Corriere della Sera, 14 febbraio 2025
La Russia tra euforia e calcoli
Ai tempi dell’Unione Sovietica, la barzelletta era considerata la vera voce del popolo. E in Russia, l’umorismo spontaneo è ancora un termometro della società. Quando un determinato avvenimento fa subito nascere decine e decine di battute, che oggi si propagano via social e chat, significa che ha avuto un gradimento pressoché immediato. «Dopo la loro prima telefonata, i due presidenti hanno subito fissato un’altra serie di incontri: Trump deve finire di ascoltare la disquisizione di Putin sui peceneghi…». Questi ultimi erano la tribù nomade, spesso citata dal presidente russo, che faceva incursioni e saccheggi contro la Rus’ di Kiev, rivendicandone il territorio. Sorvoliamo sul profluvio di nuove freddure sul conto di Volodymyr Zelensky, ormai trattato alla stregua di una specie di Fantozzi ucraino. «Come si chiama il tizio che è andato in giro a dire di avere ottenuto dagli Usa 177 miliardi di dollari, ne ha ricevuti in mano solo 55, e adesso è in debito di 500?».
Mosca ride. L’allegria contagia anche gli organi di informazione sempre allineati ma in genere più paludati. Il quotidiano Moskovskij Komsomolets esibisce il seguente titolo in prima pagina: «Zelensky è nel panico: Trump si prepara a sventrare l’Ucraina come un’aringa». Un esperto consultato dal giornale Rbk esprime fiducia nel fatto che «questo dialogo ci permetterà di raggiungere tutti gli obiettivi che ci eravamo prefissati all’inizio dell’Operazione militare speciale». Curioso il ribaltamento storico operato dal sito di geopolitica Ura: «Putin è riuscito a strappare la cortina di ferro che l’Occidente aveva steso sulla Russia».
Oltre i frizzi e i lazzi destinati al nemico ucraino, esistono tre livelli di analisi sul senso di questa prima telefonata tra Vladimir Putin e Trump. Del primo abbiamo già detto: è quello rivolto alla pancia della Russia. La Komsomolskaya Pravda non si sottrae al clima di giubilo, e nel suo editoriale recita un requiem per la tesi «nulla sull’Ucraina senza l’Ucraina». Il secondo livello è rappresentato dalla galassia ultranazionalista dei puri e duri, che domina la comunicazione social e televisiva, pur non avendo più alcun referente politico dopo la ribellione e la conseguente scomparsa di Evgenij Prigozhin. Sul sito di riferimento Tsargrad, creato dall’oligarca devoto Konstantin Malofeev, viene posto un dubbio: «Ma abbiamo poi così bisogno del congelamento dell’Operazione speciale? Dobbiamo sbrigarci in questi ultimi mesi a mettere mano su Kherson e Zaporizhzhia e a riprenderci le terre di Kursk conquistate dall’esercito ucraino. Perché una tregua rafforzerà sia noi che, certamente, il nostro nemico». Il canale Rybar avverte che sarà lunga: «Si parlerà sempre più spesso dei potenziali negoziati, ma le ostilità non cesseranno, se non altro perché tutto per ora si trova nella fase delle discussioni a distanza».
Questo è il primo dubbio che si insinua tra tante certezze. Ma per trovare una possibile risposta all’unica domanda che conta davvero, bisogna passare alla categoria degli agenti stranieri, politologi ed esperti dissidenti che vivono all’estero. Cosa vuole davvero Putin? La sintesi che segue è di Tatiana Stanovaya, una delle figure più serie nella diaspora dell’opposizione russa. «Ambisce ad ottenere un’Ucraina priva di potenziale bellico, con una Costituzione riscritta e con la garanzia del non-ingresso nella Nato. Putin è pronto anche al fallimento di questi negoziati. Per il Cremlino, l’Occidente non ha alcun modo per revocare le conquiste territoriali e per scongiurare una disgregazione dell’Ucraina. Con l’aiuto di Trump questo processo potrebbe accelerare, ma senza il suo aiuto avverrà comunque, prima o poi. Nel frattempo, Putin continuerà ad acquietare Trump offrendo concessioni che il presidente americano presenterà come un “meraviglioso deal”. Ma queste minuzie non distoglieranno la Russia dal suo obiettivo finale: ottenere un’Ucraina “amica” a proprie condizioni». È una delle poche analisi che al momento va oltre l’indignazione di parte per l’inedito asse russo-americano. I commercianti della via Arbat, la vecchia strada nel centro di Mosca, hanno subito capito l’antifona. Fuori dai loro negozi, al posto della sagoma cartonata a grandezza naturale di Xi Jinping e di Putin, richiamo per i turisti che si fanno il selfie, è subito apparsa quella di Trump abbracciato al presidente russo.