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 2025  febbraio 13 Giovedì calendario

Petrini: così Michele Ferrero ha preservato le Langhe


«C’è stato un momento, nella storia delle colline albesi, dove una Langa viticola che aveva appena subìto i tormenti di tre grandi malattie come l’oidio, la peronospora e la fillossera e che non intuiva neppure lontanamente quanto avrebbe potuto evolvere, l’ipotesi di una desertificazione e di un depauperamento della proprietà fondiaria era davvero dietro l’angolo. Il fatto che un’industria in crescita come Ferrero garantisse un reddito sicuro e, attraverso l’idea lungimirante dei pullman che raccoglievano gli operai dai paesi e li portavano ogni giorno in fabbrica, concedesse loro tempo prezioso di lavoro tra i vigneti e i noccioleti, ha permesso di trasformare la Langa della Malora di inizio Novecento nella Langa attuale, prosperosa e di successo».Carlo Petrini non ha dubbi: «È questo il vero capolavoro di Michele Ferrero, ciò che deve essere ricordato a dieci anni dalla sua morte e che rimarrà a lungo impresso nella memoria collettiva delle mie terre. Un’altra industria avrebbe potuto non curarsi di questo rischio di depauperamento, o approfittarsene. Aziende come Ferrero, ma anche Miroglio, hanno invece consentito questa straordinaria emancipazione. Una vera fortuna per tutti».Un’intuizione di un geniale capitano d’industria, o un territorio particolarmente favorevole?«Senza dubbio, nell’Albese si respira una innata predisposizione verso una imprenditoria concreta e coraggiosa, unita al gusto per la sfida, fino all’azzardo. Ma Michele Ferrero era un fuoriclasse assoluto, il suo modello di business è stato unico e ha lasciato sedimenti preziosi, preservando la sua terra. Ferrero è un’industria enorme organicamente inserita nel territorio. Merito di una strategia, di una tipologia di prodotto e magari anche di un po’ di fortuna, poco importa: quel modello ha generato in tutta la Langa e il Roero un rispetto per la famiglia e un attaccamento all’azienda che ancora oggi non ha eguali».Un modello replicabile?«L’evoluzione naturale di questo insegnamento si è realizzata in modo straordinario nel mondo del vino. Non è necessario diventare tutti delle multinazionali: anche le cantine del Barolo e del Barbaresco esprimono una dimensione manageriale e una vocazione internazionale che è nel Dna dei langhetti. Il problema è governare il limite. Ferrero è cresciuta perché lavorava su un prodotto replicabile e vendibile su scala mondiale. Lo stesso non possono fare i vignaioli, ma anche loro hanno realizzato un miracolo, rendendo milionario il valore delle loro vigne. Ora la sfida è mantenere il territorio, senza snaturarlo. Ma è un altro tema. Anche perché non va dimenticato un secondo grande insegnamento di Michele Ferrero».Quale?«La sua totale dedizione al lavoro e alla qualità del prodotto. Le sperimentazioni, le prove continue, le lunghe gestazioni, la verifica capillare di quello che sarebbe stato l’impatto sui consumatori sono sempre state la punta di diamante del suo metodo imprenditoriale. È stato di una bravura unica al mondo a costruire risultati così ampi sui questi elementi».Detto dal fondatore di Slow Food, che con le multinazionali del cibo non è mai stato tenero, non è cosa da poco.«Occorre essere onesti. Quando hai in mano a livello planetario la gestione di mercati come quello della nocciola, dell’olio di palma o del cacao, hai una grandissima responsabilità, a partire dal rapporto con le comunità locali da cui ti approvvigioni. Era una delle discussioni costanti che avevo con Pietro, il figlio di Michele Ferrero, prematuramente scomparso nel 2011. Gli dicevo: “Il giorno in cui le barrette di cioccolato saranno consumate anche dai produttori di cacao, sarà un giorno straordinario”. La situazione sta diventando sempre più problematica, ma credo che sui temi dell’equità e della sostenibilità ambientale dobbiamo fare squadra. Le pratiche virtuose non possono essere solo prerogativa delle piccole entità, ognuno può e deve metterle in pratica, anche l’artigianato e l’industria. E l’impegno di Ferrero in questi ambiti è tangibile».Ha mai avuto modo di discuterne direttamente con Michele Ferrero?«Sono stato amico del figlio Pietro, che era l’interprete di una presenza sul territorio della famiglia Ferrero più fattiva e concreta, anche nel sostegno alla nascente Università di Scienze Gastronomiche a Pollenzo. La perdita di Pietro è stata molto dolorosa, ma la madre Maria Franca Fissolo in tutti questi anni è stata ed è tuttora una figura preziosa per tutta la comunità albese. Basti pensare al suo ruolo di presidente della Fondazione Ferrero. O al sostegno all’ospedale di Alba e Bra, che non a caso è stato intitolato a Michele e Pietro Ferrero. Le condizioni per mantenere vivo e fertile il legame con il territorio ci sono tutte, anche se il gruppo ormai con la guida di Giovanni Ferrero ha assunto una dimensione tale da essere un player mondiale. Io non conosco e non sono titolato a giudicare la strategia globale dell’azienda, ma se non ci fosse questo affetto sincero, se ogni paese di Langa non avesse una via o una piazza intitolata a Michele Ferrero, la storia forse sarebbe un’altra».