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 2025  febbraio 11 Martedì calendario

Intervista a Johnson Righeira, al secolo Stefano Righi


Avere nostalgia di quando avevamo nostalgia, è un po’ anche questo Sanremo nella serata cover, tanto più se l’estate sta finendo e un anno se ne va e a cantarcelo torna Johnson Righeira, al secolo Stefano Righi, con i Coma Cose. Sono passati 40 anni dai languidi brividi del 1985: prima c’era stata Vamos a la playa e No tengo dinero, dopo, nel 1986 sarebbe arrivato anche il Festival, con il duo in gara con Innamoratissimo.
Johnson, in 39 anni non era mai tornato a Sanremo neppure come ospite?
«Al Festival no. All’Ariston sì: ho iniziato a frequentare il Tenco, dove pensavo che tutti mi avrebbero guardato male».
Invece?
«Invece no, anzi: l’anno scorso abbiamo chiuso la serata finale cantando tutti insieme Vamos a la playa».
Questo 50 anni fa non sarebbe mai successo.
«L’ho sempre detto anch’io, mi avrebbero sputato addosso, ma ormai è stato tutto sdoganato, persino i Righeira».
O forse il tempo vi ha dato ragione: siete stati i primi a rielaborare la musica degli Anni 60, oggi lo fanno quasi tutti.
«La ripresa dei Sessanta è figlia dei miei esordi di solista, sui quali ha avuto un peso fondamentale l’esperienza punk».
Il punk?
«Sì, perché era stato un reset, un ritorno a forme semplici, all’essenzialità del rock’n’roll. Io volevo fare la stessa cosa, ma calata nella realtà italiana. E sono andato a quel periodo in cui la musica in Italia è cambiata, quando sono usciti fuori i primi Celentano, Mina, Peppino Di Capri, Eduardo Vianello, che avevano segnato uno stacco con il passato, con Nilla Pizzi e di Claudio Villa. E così anch’io ho ricominciato dal twist, dal geghegè. L’estate sta finendo nacque in quel periodo, una proto-version che poi rimaneggiammo dopo il successo di Vamos a la playa».
Cosa cambiò nella versione definitiva?
«Ci aggiungemmo i languidi brividi».
È un pezzo leggero, ma piena di struggimento. Quanti anni aveva quando la scrisse?
«Neanche 20. E quella storia d’amore per cui nel pezzo soffrivo non l’avevo mai vissuta, non avevo proprio mai avuto una storia d’amore. Cantavo “io sono ancora solo” perché questo era il livello del mio ottimismo verso l’amore, peraltro sono solo anche adesso, quindi un po’ ci avevo preso.

Stava diventando grande e non le andava: poi ci ha fatto pace?
«Devo dire che io mi sento ancora così, ho ancora paura di diventare grande. Ho ripreso a fare il solista da dieci anni, e da quando ho ricominciato sono tornato quello degli inizi, con qualche anno in più, ma con quella voglia di fare, di sperimentare».
È a questo punto che arrivano i Coma Cose?
«Ci eravamo incrociati a un festival, ma non ci conoscevamo davvero. Loro hanno voluto assolutamente fare questo duetto, un moto spontaneo, non un’accoppiata nata a tavolino. Sono felice perché è una cosa autentica, in un periodo in cui c’è tanta artificialità mi dà un po’ di speranza.
Non ama la musica di oggi?
«Ogni epoca ha le sue musiche. La trap è una reale espressione dei giovani, è la musica degli adolescenti di oggi. Una volta la musica dei giovani era il punk, che come la trap era un fenomeno sociale, esprimeva un rifiuto. Ma il punk è rimasto di nicchia, forse perché non c’erano i social».
Dei testi violenti e sessisti cosa pensa?
«Premesso che sono un libertario e per me chiunque può dire cosa vuole, mi chiedo però se il pubblico di ragazzini di 12-13 anni a cui arrivano questi testi abbia senso critico e gli strumenti per capire che si tratta di finzione. E non credo che chiamare le donne “puttane” sia una bella cosa, se fossi padre di un ragazzino di 12 anni che ascolta tutto il giorno questa roba qua che parla di puttane e droga, un filo preoccupato lo sarei».
Torniamo al Sanremo 1986. Lei che ricordi ha?
«Vaghi, fu veramente un delirio. Ricordo la grandissima emozione di uscire su quel palco»
Vinse Ramazzotti, secondo Arbore, degli artisti di allora in gara oggi c’è Marcella, terza: le sovviene qualcosa?
«Il ricordo più preciso che ho è alla fine, quando ci chiamarono tutti sul palco man mano che snocciolavano la classifica. Noi arrivammo quindicesimi. Eravamo di fianco a Pino Mango, che arrivò quattordicesimo con Lei verrà, una delle canzoni italiane più belle di sempre. Il pubblico votava con le schedine del Totip, io gli dissi che se l’avessi saputo mi sarei votato, così magari saremmo arrivati prima di lui. E lui mi disse: «È quello che ho fatto io».

Cosa si aspetta da Sanremo 2025?
«Sarebbe divertente se L’estate sta finendo vincesse tra le cover, un po’ come vincere Sanremo 40 anni dopo Festivalbar e Un disco per l’estate».
Sarà fondamentale far cantare tutti da casa: quanto è rimaneggiato il pezzo?
«Questa versione per me è straordinaria, conserva la grande emotività e pathos, la malinconia, ma anche un grande tiro in certi momenti».
L’estate sta finendo ha la stessa anzianità di Conti in Rai, questo ha avuto un peso?
«Conti lo conosco da anni. L’altro giorno alle prove mi ha ricordato quando faceva Discoring e annunciava che L’estate sta finendo era prima, scavalcando mostri sacri. Siamo figli dello stesso tempo».
Cosa le manca degli Anni 80?
«Solo il fatto che avevo 20 anni.
Per il resto, in qualche modo gli Anni 80 non sono mai finiti, da certe cose non si è più tornati indietro. Forse sono stati l’ultimo decennio di grandissima creatività, li abbiamo bollati superficiali e futili, ma alla fine con quello che hanno prodotto allora dobbiamo farci i conti ancora adesso. Ed è grazie agli Anni 80 se io sono ancora qui. —