la Repubblica, 11 febbraio 2025
Intervista a Marcello Simoni
In una grigia mattina di febbraio, Marcello Simoni sta alla scrivania dello studio della sua casa di Comacchio,a una quarantina di chilometri da Ferrara, circondato dai libri e dalle tele che dipinge. Come ogni mattina prende appunti e fa schizzi a matita sui taccuini formato mini rigorosamente a pagine bianche. A un certo punto suona il citofono.
Simoni va ad aprire mentre i cani abbaiano, due golden retriever e due jack russell («ma sono i più piccoli a comandare in casa»): è il corriere che gli porta le prime copie de L’angelo di pietra,il suo trentaduesimo romanzo e il quinto della serie, pubblicata da Einaudi, che ha per protagonista l’inquisitore Girolamo Svampa: una nuova indagine ambientata a Ferrara nel Seicento.
Simoni, cinquant’anni quest’anno, più di un milione di copie vendute, tradotto in venti lingue, vincitore del premio Bancarella, quattordici anni dopo il suo esordio da record con Il mercante di libri maledetti si emoziona ancora. «Mi fa sempre un certo effetto», dice rigirandosi il libro tra le mani e mostrandocelo dallo schermo su Zoom. Ex bibliotecario ed ex archeologo, oggi è il portabandiera del giallo storico made in Italy. «Racconto epoche oscure perché somigliano alla nostra».
Lei ha ambientato per anni le sue storie nel Medioevo, con Svampa invece siamo nel Seicento. Come mai questo salto temporale?
«Sono epoche molto più vicine di quanto si pensi. Il Medioevo era la mia comfort zone, ma in realtà il Seicento è il secolo nel quale buona parte dell’oscurità medievale arriva a compimento. Pensiamo alle streghe: è vero che il concetto di stregoneria nasce nel 1400 ma due secoli dopo molte più donne finiscono al rogo perché le indagini per stregoneria sono molte di più. Il Seicento è il secolo dei libri di magia, quello in cui si diffonde l’idea dell’esistenza della setta Rosacroce, che non sappiamo ancora se sia un’invenzione intellettuale oppure no. Il secolo è attraversato ancora dai focolai della peste ed è quello della polvere da sparo: in questo ciclo di romanzi si muore per un colpo di pistola e non accoltellati come negli altri».
Ma non stava arrivando la stagione dei Lumi?
«Macché. Si tratta del secolo del sospetto, delle indagini fatte a danno della logica e della ragione».
E cosa c’entra il razionale Svampa?
«Mi serviva appunto un personaggio capace di creare un cortocircuito: un domenicano, che è una figura retaggio del Medioevo, che però agisce secondo ragione».
Queste epoche oscure somigliano alla nostra?
«Non mi pare che gli esseri umani siano cambiati molto, sono cambiati gli oggetti ma le persone che li muovono e le dinamiche sono rimaste le stesse. Siamo animali che cercano di giustificare le loro azioni istintive camuffandole da scelte ragionate. Le masse rimangono ignoranti: ma se allora accadeva perché l’accesso all’istruzione era per pochi, adesso accade perché c’èuna sovrabbondanza di input che ci stordisce».
La tecnologia è il nostro Medioevo?
«Andiamo in un museo, se ci andiamo, e invece di guardare un quadro, ammirare i dettagli, la pennellata, lo fotografiamo. La tecnologia della quale disponiamo è troppa per le nostre capacità mentali e non perché siamo lenti ma perché questa sovrabbondanza ci impedisce di restare concentrati per un tempo lungo. Potremmo dire addirittura che il Medioevo è stato un periodo migliore».
Migliore di oggi?
«Nel Medioevo nascono le università, si comincia a definire l’idea d’Europa. E poi pensiamo ai miniaturisti: quattordiciquindicenni che stavano concentrati per ore e ore a realizzare un capolavoro sfruttando la luce solare. Oggi sarebbe impossibile una dedizione del genere. Possiamo avere tutta la tecnologia del mondo ma non riusciremmo a fare opere d’arte come quelle. Il nostro è il tempo del fast food della mente: cervelli obesi ma non nutriti».
Girolamo Svampa odia l’umanità, definisce i suoi simili “accidenti necessari”, eppure è molto amato dai lettori: come mai?
«Perché anche lui è contraddittorio.
Dietro a questo malgarbo, a questa corazza, è molto umano e per questo piace pur essendo un inquisitore, pur essendo un domenicano, pur lavorando per un istituto odioso come il Sant’Uffizio. Svampa e l’altro personaggio, padre Francesco Capiferro, sono i protagonisti che mi somigliano di più. Lo dice anche mia moglie, Giorgia, la mia prima e più attenta lettrice».
Parlava del fatto che gli oggetti definiscono un’epoca. I suoi romanzi sono zeppi di cose: si deve al suo passato da archeologo?
«Sì. Se fare il bibliotecario mi ha insegnato a navigare tra i libri, a sapermi orientare tra testi diversi, a catalogarli, il lavoro di archeologo mi ha fatto capire che la storia passa dagli oggetti che sono appartenuti alle persone normali: un’anfora o una pipa raccontano un’epoca e sono una molla per la mia creatività narrativa. Gli oggetti, tra l’altro, hanno un grosso peso anche nel fantasy, forse per questo mi leggono anche gli amanti del genere fantastico».
Ma lei che lettore è stato?
«Fin da bambino avevo sempre una penna e un taccuino in mano. Il primo libro che ricordo di aver amato èPinocchio che secondo me è un perfetto noir. Quello che mi ha fatto amare la letteratura, il mio primo romanzo vero, è statoVentimila leghe sotto i mari».
Lei è anche illustratore, quest’estate ha illustrato il romanzo a puntate “La Locanda dell’Oca nera” che ha scritto per Robinson.
«Sì, ma per passione. Da piccolo volevo fare il fumettista ma poi l’amore per la scrittura ha prevalso». Simoni mostra i suoi taccuini, pieni di schizzi di luoghi e di personaggi: cattedrali, vicoli, profili. Il suo studio è colmo di ritratti e tele.
Alcune molto grandi. «Per immaginare un posto, un luogo delle mie storie, lo devo vedere».
Il romanzo storico vende tantissimo, come dimostrano i suoi libri (la serie di Svampa ha superato le 150mila copie, ndr ).
Esiste una letteratura di genere?
«Esistono solo due generi di romanzi: quelli brutti e quelli belli. E il mio editore aggiungerebbe: quelli che vendono e quelli che non vendono. Se poi vuole chiedermi del Premio Strega, le dico subito: non lo vincerò mai perché loro se la tirano troppo». Ride.
Svampa tornerà vero?
«Certo che torna, sennò Einaudi mi uccide».