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 2025  febbraio 09 Domenica calendario

Dove vivevano i grandi scrittori a Trieste

Per sopravvivere a Trieste, James Joyce insegnava inglese alla Berlitz School in via San Nicolò 32. Tra gli allievi, Italo Svevo, che nella vicina via San Lazzaro al numero 8 frequentò lo studio dello psicoanalista Edoardo Weiss, seguace di Sigmund Freud, dove anche Umberto Saba si recava a decrittare il proprio inconscio. Il ritrovo per alcuni di questi intellettuali era al Caffè Garibaldi in piazza Grande (oggi piazza Unità). La passione tutta triestina per la letteratura era allora simbolicamente racchiusa nel perimetro di poche vie.
Oggi nel capoluogo giuliano scrittori e personaggi illustri, locali o «foresti», vengono per la maggior parte celebrati con statue, giardini, vie, piazze, scuole, biblioteche e sentieri. Ma la loro presenza è raccontata anche da un discreto numero di targhe. Piccole ma tante sono quelle con impressi i volti di Svevo, Saba e Joyce, che compongono il percorso biografico tratto dal progetto Itinerari triestini di Comune, università e altri enti (cui sono dedicati tre libri di Renzo Crivelli, Cristina Benussi ed Elvio Guagnini), che s’intreccia con il progetto Trieste Metro, totem segnaletici dei principali luoghi legati a letteratura, architettura e altri temi. Così si scoprono i traslochi di Joyce (almeno 9) dovuti anche a sfratti. E la casa natale di Svevo? Si pensava fosse in viale XX Settembre 16, ma si è poi scoperto che era in via Mazzini 27: «Un dato – così Riccardo Cepach, responsabile del Museo della Letteratura Lets – che ho ricavato dal Registro dei nati della comunità ebraica». In via San Nicolò 30b la Libreria Saba, ora riaperta, è evidenziata da due targhe e un totem. Non lo è la casa in via Trento 12 di Giani Stuparich, che apprezzava anche un altro poeta, Giulio Camber Barni, avvocato e combattente, nato in via Rossetti 52 ma non segnalato. Diverso destino ha lo scrittore irredentista Scipio Slataper, ricordato da una targa sulla facciata della villa di via Bazzoni 15, oggi adibita in parte a b&b.
I segni del passato letterario sono infiniti a Trieste. Un’epigrafe nella chiesa di San Bartolomeo rammenta Enea Silvio Piccolomini, umanista, vescovo di Trieste dal 1447 al 1450 e, dal 1458, Papa Pio II. Il Museo Petrarchesco Piccolomineo ne conserva la memoria grazie alla donazione delle collezioni dell’avvocato Domenico Rossetti de Scander, letterato e promotore culturale del primo Ottocento, menzionato da una targa su Casa Galatti in via Rossini. L’iniziativa fu dello scrittore ed editore Giuseppe Caprin, al quale è intitolata la via in cui abitò.
Fu Caprin stesso ad accompagnare Giosue Carducci nella sua visita a Trieste del 1878: una lapide in via Cattedrale porta incisa l’ultima parte della poesia Saluto Italico del grande toscano. Con loro c’era anche Attilio Hortis, bibliotecario, storico e politico che, grazie ai suoi scritti, diede un contributo decisivo alla comprensione del Boccaccio filologo, storico e moralista. Nella sua casa in riva Grumula 2 non è menzionata la sua presenza ma quella di Alexander Wheelock Thayer, console statunitense e autore di una biografia di Ludwig van Beethoven, che qui morì nel 1897. Mentre in via San Nicolò 8 si segnala la nascita dello storico e patriota Pietro Kandler, che molto scrisse su Trieste.
In città passò nel 1830 anche Stendhal. Soggiornò in corso Italia 6 (un totem lo segnala), ma resistette solo tre mesi, sfibrato (soprattutto) dalla bora. In piazza Venezia 1 una targa spiega che, tra il 1922 e il 1923, vi operò il viceconsole del «regio consolato di Jugoslavia», il futuro premio Nobel Ivo Andric. Attende invece un ricordo sul suo palazzo dietro il Municipio, Žiga (Sigmund) Zois, letterato e mecenate del Settecento. La proposta, avanzata da due scuole, è del 2018. Anche Marica Nadlišek (1867-1940), scrittrice, editrice e redattrice della prima rivista femminile slovena a Trieste, come riferisce Martin Lissiach dell’Unione culturale economica slovena a Trieste, attende un’intitolazione. Nulla nemmeno per gli scrittori Silvio Benco e Delia de Zuccoli sulle loro case di via Pauliana e via della Vena, e per Marisa Madieri, che è stata residente con il marito Claudio Magris sul colle di San Vito. E forse pochi sanno che Leonor Fini, pittrice e autrice di tre libri, abitò in via Torrebianca 26, dove non appare nessuna insegna. Il secolo breve ha dato alla luce anche i «due» Stelio, Crise e Mattioni. Il primo, direttore della Biblioteca del popolo, saggista, critico letterario e scrittore, «aveva il suo rifugio – dice il figlio Stefano – in via Crispi 81. In nessuna delle sue abitazioni c’è una targa». Aveva una casa-studio anche Mattioni, in via Daurant 6 ma una targa, promotrice la figlia Chiara, si trova sulla scala dei Giganti, uno dei luoghi de Il richiamo di Alma.
Il Novecento triestino non si chiude senza quattro grandi in attesa di essere celebrati: Gillo Dorfles, nato in piazza Dalmazia 1; Boris Pahor, scomparso in Strada del Friuli 246/1; Juan Octávio Prenz, che abitò in via San Lazzaro 10; e Pino Roveredo, che concluse la sua vita in via dei Soncini 36/1. D’altra parte, la legge consente di ricordare con una targa soltanto chi è scomparso da più di dieci anni, salvo deroghe.