il Fatto Quotidiano, 10 febbraio 2025
Cibo sprecato
La Cina spreca quasi 92 milioni di tonnellate di cibo all’anno, con 1,4 miliardi di abitanti, mentre gli Usa 80 milioni di tonnellate e 334 milioni di persone. Lo spreco alimentare va distinto in food loss (perdita nelle fasi precedenti la vendita) e food waste(il cibo scartato da rivenditori e consumatori). Nei Paesi ricchi il cibo viene sprecato nella fase del consumo, cioè “a valle”; in quelli poveri di Africa o Asia la perdita è “a monte”, nelle fasi di produzione, stoccaggio e in parte di distribuzione, per mancanza di strutture, infrastrutture e organizzazione. Pochissimo viene sprecato dalla popolazione.
Nel Nord del mondo, dominato dai mercati, le cause di spreco sono legate a un’impostazione precisa nella quale il cibo si equipara ad altre commodities: si vende, si compra, vi si specula sopra e si spreca. Nell’approccio industrialista, la materia prima alimentare deve circolare rapidamente, senza intoppi. Impensabile fermare il ciclo produzione-consumo- smaltimento-produzione: l’obiettivo è accelerarlo a ogni costo. Così il cibo ha perso il suo valore intrinseco per l’umanità, non è trattato come un diritto inalienabile, non è prodotto per nutrire corpo e spirito, ma per generare profitto.
La trave nel piatto è che lo stigma dello spreco ricade quasi esclusivamente sui cittadini che la società consumistica vuole infantili, influenzabili e compulsivi. Cittadini a cui mancano strumenti di scelta, analisi complete e informazioni chiare, necessarie a esercitare una gestione consapevole e critica dell’approvvigionamento alimentare e quindi dello spreco. La trave nel piatto è che lo spreco è determinato dal marketing: prodotti che si discostano da ciò che è considerato esteticamente ottimale vengono rimossi dalla filiera, così come gli alimenti vicini alla data di scadenza, ma ancora edibili. La trave nel piatto è che lo spreco si genera fin dalla semina: quando si pianifica la produzione secondo parametri non necessariamente legati all’effettiva domanda, ma ad accordi commerciali e dinamiche finanziarie. La trave nel piatto è che le istituzioni non contrastano questo meccanismo con scelte coraggiose mentre resta la pressione su contadini, impatti ambientali rilevanti a discapito della collettività, sfruttamento scellerato delle risorse e l’irricevibile paradosso della coesistenza di fame e spreco.