Corriere della Sera, 10 febbraio 2025
La fragilità della Germania
Una Germania fragile e incerta si avvicina alle elezioni anticipate. La destra estrema è in ascesa, suscitando un’ondata di proteste nel Paese; il futuro dell’economia è tutt’altro che radioso. Si tratta di un quadro inedito e allarmante, che rende il voto del prossimo 23 febbraio decisivo, anche per i destini europei.
Ma che fine ha fatto la Germania di una volta? La Germania stabile, che appena quindici anni fa aveva fatto parlare di un “miracolo economico”? Il miracolo è svanito con il tramonto delle illusioni sorte nell’ultimo decennio del Novecento: la fine della Storia, la Russia nel G8, la globalizzazione illimitata e virtuosa, le magnifiche sorti del commercio con la Cina.
Una grande illusione che ha coinvolto tutta l’Europa. Anzi, l’intero Occidente. Ma che nella Germania riunificata ha avuto il suo epicentro.
Wandel durch Handel, il cambiamento attraverso il commercio, rivolto alla Russia e poi alla Cina; e il gas russo a buon mercato, fino al progetto del secondo gasdotto – Nord Stream 2 – cancellato solo due giorni prima dell’invasione dell’Ucraina; e le auto tedesche pronte per milioni di nuovi benestanti cinesi; e Putin che, da poco al potere, interviene in tedesco al Bundestag, accolto da lunghi applausi.
Lungo il viale del tramonto di queste illusioni di inizio secolo sono affiorati, già prima del Covid, i limiti del modello tedesco. La Germania è in recessione da due anni, il recupero di potere d’acquisto non si è ancora tradotto in un rilancio dei consumi, la produzione industriale ha perso l’11% dagli anni pre-Covid, e così Volkswagen annuncia il taglio di 35mila posti, e altre decine di migliaia sono a rischio nell’auto, nella chimica, nell’acciaio. Pesano certamente i costi dell’energia – senza nucleare e ora anche senza gas russo – e il rallentamento del commercio globale. Pesa l’assenza di riforme, quelle targate Spd sono di vent’anni fa.
Ma forse la cosa più allarmante è che la Germania, soddisfatta del suo modello vincente e prigioniera delle sue stesse regole di bilancio, non ha scommesso sulla rivoluzione digitale che sta cambiando l’economia mondiale. A nessun livello, dalle infrastrutture di fibra ottica per famiglie e imprese, all’innovazione nell’industria, al sostegno alle start up digitali. E così oggi rischia di dover fronteggiare la concorrenza cinese nei settori tradizionali senza essere abbastanza competitiva in quelli del futuro. In fondo sono i nostri comuni problemi europei, portati all’estremo in un Paese regno dell’industria manifatturiera e con un’economia dominata dal surplus commerciale.
La Germania del miracolo è dunque diventata in un decennio o poco più la Germania della stagnazione. E ora anche della fragilità politica,con lo sfaldamento della coalizione semaforo (Spd, Verdi e liberali) e con l’ascesa, prima nelle regioni orientali e poi in tutto il Paese, dell’estrema destra di Afd, partito nostalgico, negazionista, antieuropeo, filorusso. Sospinto oggi anche dalle incursioni corsare di Elon Musk.
La miccia che ha acceso e poi alimentato l’onda nazional-populista è stata l’immigrazione. E proprio sul tema dell’immigrazione ha rischiato di crollare, dieci giorni fa, una delle poche certezze rassicuranti del quadro politico tedesco, quel Brandmauer (muro tagliafuoco) contro i nostalgici del nazismo che per la prima volta il candidato cancelliere Cdu Friedrich Merz ha infranto, facendo votare una mozione parlamentare con l’Afd. Merz ha poi fatto marcia indietro, impegnandosi solennemente a non fare accordi con l’estrema destra, anche per un intervento di Angela Merkel.
Ma la crepa c’è stata, e proprio contro uno scivolamento verso destra della Cdu si stanno mobilitando centinaia di migliaia di tedeschi e si batte l’Spd: “Al centro, non con Merz” è ora lo slogan del partito di Olaf Scholz.
Stando ai sondaggi, la destra crescerà, ma non abbastanza da competere con le forze europeiste e di governo. L’accordo di coalizione tuttavia non sarà semplice, specie se i numeri non consentissero una riedizione dell’accordo a due, la vecchia e rassicurante GroKo, coalizione tra cristianodemocratici e socialdemocratici.
Insomma un’apertura all’Afd nel governo è da escludere: avremo una coalizione che farà muro contro le forze dell’estrema destra.
Ma riuscirà a frenarne l’ascesa? E per farlo, riuscirà a rilanciare l’economia? L’industria tedesca ha risorse straordinarie, per decenni ha guidato l’innovazione manifatturiera, è ormai consapevole delle sfide del digitale e delle tecnologie pulite. Per il governo, uno dei primi test sarà la revisione della regola del “freno del debito” che ha bloccato gli investimenti pubblici della terza economia mondiale nelle infrastrutture, nel digitale e nella transizione climatica. La stessa «svolta epocale» sulla spesa per la Difesa annunciata dal cancelliere Scholz, si è infranta su quella regola, anche per la bocciatura da parte della Corte di Karlsruhe dei tentativi di aggirarla mediante “veicoli speciali” extra bilancio.
Una maggioranza parlamentare dei due terzi in grado di cambiare la regola del “freno del debito” non produrrebbe miracoli, ma sarebbe un buon primo passo per affrontare le difficoltà dell’economia tedesca. E una spinta rilevante per l’intera economia europea.