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 2025  febbraio 09 Domenica calendario

Le procure affondano: 2.000 fascicoli per pm

La maglia nera, almeno ufficialmente, è ancora della procura di Ivrea, dove i pm soffocano sotto il peso di migliaia di fascicoli: 1.619 pendenze pro-capite, secondo i dati ufficiali, che salgono a duemila se si contano i posti scoperti; quattro volte la media nazionale, che è di circa 500. Tutto questo in un ufficio che affronta casi di rilievo nazionale come la strage di Brandizzo o la maxi-inchiesta sulle violenze in carcere. A leggere altre statistiche, il poco invidiabile record dei maggiori carichi di lavoro potrebbe essere però attribuito proprio a Busto Arsizio: se Ivrea detiene il primato di fascicoli pendenti per pm, Busto ha quello delle cosiddette sopravvenienze pro capite, il flusso di fascicoli in entrata, 973. In altre parole, qui i reati per magistrato aumentano ogni anno più che in tutte le altre 140 città italiane con una procura ed è più che prevedibile che, senza interventi strutturali, la situazione non possa che peggiorare.
A Tivoli, altro avamposto, le cose sono lievemente migliorate dopo l’innesto di nuovi magistrati, ma i numeri restano da bollino rosso per la mancanza cronica di personale amministrativo (-40%), rimpiazzato con volontari e pensionati delle forze dell’ordine, e per l’emergenza totale del tribunale. Sul podio delle procure più in difficoltà c’è infine anche Reggio Emilia, dove la criminalità organizzata ed economica è aumentata in modo spaventoso, ma lo Stato sembra non essersene ancora accorto. Le piante organiche fissate dal Ministero sono ancora da provincia sonnacchiosa, nonostante numeri record di interdittive antimafia (103 nel 2022, primo posto in Italia), e metà dei magistrati, anche qui, abbiano assegnati duemila fascicoli a testa.
C’è una giustizia italiana sulla carta, nelle promesse che Roma ha fatto a Bruxelles per ottenere i fondi del Pnrr. C’è una giustizia nell’agenda politica del governo Meloni, fatta di riforme avversate dalle toghe come le leggi bavaglio, l’abolizione dell’abuso d’ufficio, la limitazione delle intercettazioni, la separazione delle carriere. C’è, infine, la giustizia del Paese reale, quella che nei palazzi di giustizia di mezza Italia, muore ogni giorno in silenzio, senza poter dare alla cittadinanza le risposte che chiede. Per mancanza di risorse, scelte sbagliate, sottovalutazione, spending review che promettevano risparmi e invece erano solo puro maquillage. Le radici di questo male sono profonde e le origini antiche, le colpe non possono certo ricadere tutte su Carlo Nordio, ultimo ministro in ordine di tempo. Ma è un fatto che finora nessuna riforma e nessun ministro è riuscito (né ha provato) a mettere mano alla causa più diretta: la mancanza cronica di risorse.
Ivrea
Travolti dai fascicoli manca la metà del personale
Ivrea è l’emergenza più nota in Italia. Mancano i pm, mancano gli amministrativi, manca tutto. La procuratrice Gabriella Viglione si è caricata su di sé gli oltre 10 mila fascicoli ignoti che arrivano ogni anno: «In queste condizioni occorre dare delle priorità. Non riusciamo a trattare molte segnalazioni, anche gravi». Tutto nasce con l’aggregazione dei territori di Ciriè e Chivasso, un tempo distaccamenti di Torino. Un surplus di 350 mila abitanti, riversato su un piccolo tribunale. «Soffriamo il 40 per cento di scopertura degli amministrativi – dice Viglione – una percentuale calcolata su una pianta organica che dovrebbe però essere il doppio. In queste condizioni chi può scappa».
Busto Arsizio
Qui il maggior numero di reati pro capite
Busto Arsizio è un caso scuola degli errori nella gestione della giustizia. Il taglio dei tribunali minori porta nel 2013 a chiudere Legnano e Rho, distaccamenti di Milano. Vengono accorpati a Busto Arsizio, che diventa così un tribunale, ma senza organici adeguati. L’effetto è paradossale: per deflazionare Milano, si finisce per intasare la più piccola procura varesina. Lo specchio del fallimento di quell’operazione sono i camion che fanno lo stesso viaggio due volte: la prima per trasferire una prima volta i fascicoli da Milano a Busto Arsizio; la seconda, nel 2014, per riportare indietro quelli di Rho, dopo le proteste dell’allora procuratore Walter Picco Bellazzi. Gli organici vengono aumentati da 4 a 11 pm (ma gli effettivi sono 9), la situazione, però, resta ancora molto critica. Qui arrivano magistrati di prima nomina, che appena possono chiedono il trasferimento. La Procura ha una pianta organica ridotta, ma il maggior numero di reati in entrata pro capite in Italia, 973. In termini assoluti, Busto Arsizio è tra le prime venti Procure in Italia come numero assoluto di reati commessi, l’unica a non essere capoluogo di regione o di provincia. Il procuratore Carlo Nocerino sul caso ha già inviato due dossier al Csm, allarmi rimasti inascoltati, e ne sta preparando un terzo: «Abbiamo la situazione più critica a livello nazionale. Le sopravvenienze sono il termometro dei reati commessi sul territorio: solo 10 uffici su 140 in Italia hanno sopravvenienze pro capite sopra le 800 unità. Abbiamo un’incidenza altissima di tutte le tipologie di reati, ma non siamo in grado di dare risposte adeguate».
Reggio Emilia
Capitale criminale senza addetti
Qui si è tenuto uno dei principali processi antimafia degli ultimi anni, noto come Aemilia, 200 indagati legati ai clan di Cutro. Lo scorso novembre il procuratore di Gaetano Paci ha preso carta e penna e inviato un corposo report a Csm, Ministero e procuratore generale della Cassazione, per lamentare una scopertura del 40 per cento dell’organico amministrativo e del 50 per cento dei magistrati. «Reggio Emilia fronteggia fenomeni criminali che necessitano un totale cambiamento di prospettiva. Secondo l’Uif, ufficio antiriciclaggio di Bankitalia, dopo Milano e Brescia siamo la provincia con la più alta incidenza di infiltrazioni mafiose, criminalità economica e riciclaggio. Abbiamo magistrati con duemila fascicoli sul ruolo. In tanti anni passati in uffici del Sud non ho mai visto niente del genere». È uno dei paradossi: «Al Sud negli anni si è investito, proprio come reazione alle stragi di mafia – dice Paci. – Al Nord siamo in ritardo».
Tivoli
I buchi coperti grazie al servizio civile
Tivoli, alle porte di Roma, è un altro caso molto interessante. La procura è un esperimento nato in tempi relativamente recenti: gli uffici giudiziari vengono creati dopo il 2000, con il proposito di alleggerire Roma. Il problema è che il ministero non manda forze sufficienti per portare a termine gli obiettivi: «Dal 2020 abbiamo avuto un aumento dei pm, ma la carenza cronica di personale amministrativo rende molto difficile lavorare – spiega il procuratore Francesco Menditto. – Ci siamo arrangiati con ragazzi arruolati dal servizio civile, accordi con l’associazione nazionale pensionati di carabinieri e guardia di finanza, e anche con la Regione Lazio. Ma è tutto molto complicato. Senza contare che le inchieste che facciamo spesso sono vanificate dai buchi d’organico ancora maggiore del tribunale: è inutile fare inchieste se poi non ci sono i giudici per fare i processi».
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