Corriere della Sera, 9 febbraio 2025
Salvini a Madrid dai patrioti (spoasa la linea di Trump e parla spagnolo)
MADRID Tutti in marcia sulla scia di Donald, cercando di sfruttarne la spinta. Ma chi è il più «trumpiano» dei «trumpiani»? Matteo Salvini, a cui forse brucia ancora di non aver potuto partecipare a Washington al debutto ufficiale del neopresidente americano perché bruciato sul tempo dalla premier Giorgia Meloni, anche a Madrid con gli alleati del gruppo dei Patrioti mostra di voler vincere la speciale competizione. Il leader della Lega cita Trump come modello riuscito di una rivoluzione possibile, ma a differenza di altri (come l’olandese Geert Wilders e lo spagnolo Santiago Abascal) che invitano a non sposare in toto le posizioni del presidente, fa proprie tutte le uscite dirompenti del tycoon degli ultimi giorni: dalla minaccia di abbandonare l’Oms alle sanzioni alla Corte penale internazionale fino alla nuova destinazione balneare di Gaza senza palestinesi.
All’eccitata e folta platea (2.000 persone) che si raduna nell’auditorium di un grande albergo della capitale, tra bandierine e cori da stadio turbati solo dall’irruzione durata pochi secondi di una Femen a seno nudo, Salvini si rivolge anzitutto in spagnolo (piuttosto improvvisato ma gradito) per scaldare l’uditorio ricordando la sua assoluzione nel processo di Palermo mandando un saluto ironico al premier Pedro Sánchez (sostenitore della Open Arms). Ma torna subito alla lingua madre per sciorinare le tesi più forti, partendo da una rivendicazione di orgoglio: «Negli anni ci hanno dato dei fascisti, dei nazisti, dei razzisti, hanno cambiato le regole del gioco per cancellarci. Ma siamo ancora qui, più forti che mai. Ci hanno dovuto dare ragione su tutto. A cominciare dall’immigrazione e dalla sicurezza».
E allora, Trump docet, per il vicepremier «serve il cambiamento. Non è l’Ue che legittima gli Stati ma gli Stati che legittimano l’Europa, che sennò non esisterebbe». E qui lancia l’affondo che manda in delirio i partecipanti al raduno: «Il burka non è Europa, il gender non è Europa e il terrore islamico non è Europa». I Patrioti, all’insegna del trio «sovranità-identità-libertà», sono uniti nel disegno di rovesciare l’attuale assetto europeo, rivendicano il diritto di azzerare tutti i capisaldi dell’Ue (integrazione, immigrazione, transizione energetica) per un ritorno, non ben precisato, alle origini e al «buon senso».
Salvini, come il leader di Vox Abascal (acclamato padrone di casa), invoca una battaglia comune per tutti i partiti sovranisti e populisti d’Europa. Lancia un appello al Ppe perché abbandoni i socialisti, ma guarda soprattutto all’estrema destra, a quell’AfD che punta a vincere le elezioni in Germania, anche se il partito è stato cacciato dalla compagnia (su iniziativa di Marine Le Pen) solo pochi mesi fa. Probabilmente pesa la possibilità di conquistare il governo, chissà. Ma desta curiosità, soprattutto in Salvini per via del governo in comune ma non è il solo, la mancanza assoluta di riferimenti a Giorgia Meloni che pure, tra tutti i governanti europei, è l’unica che ha stabilito un rapporto diretto con Trump. Come se la concorrenza intestina nella corsa al primato dei «trumpiani» fosse un elemento poco gradito.
L’appuntamento di Madrid sembra una versione riveduta e migliorata del raduno sovranista di Pontida dell’ottobre scorso (ospiti d’onore erano l’ungherese Orbán e l’olandese Wilders, in collegamento Le Pen) e Salvini si sente a casa. Sente che il vento trumpiano soffia e si dice convinto che i Patrioti nel giro di un anno governeranno in Austria, Germania, Romania e Repubblica Ceca. Un sogno che se avverato potrebbe davvero cambiare l’Europa.