il Fatto Quotidiano, 8 febbraio 2025
Dumas, alcune note
Sessantotto anni di vita, dal 1802 al 1870, sempre all’insegna della dismisura. Alexandre Dumas, mulatto discendente di schiavi africani, figlio di un generale dissidente morto prematuramente, è cresciuto dalla madre. Comincia a lavorare come copista e in seguito si dedica ai romanzi d’appendice. Colleziona guadagni esorbitanti e altrettante bancarotte finanziarie. Gira il mondo a ogni latitudine, finisce persino in Sicilia al rimorchio di Garibaldi nella spedizione dei Mille. Sul fronte privato, una moglie, decine di amanti, due figli riconosciuti, e parecchi altri mai censiti. Si impone con I tre moschettieri (seguito da Vent’anni dopo e Il visconte di Bragelonne). Pare che il figlio Alexandre (anch’egli autore, noto per La signora delle camelie) lo abbia sorpreso in lacrime per la scelta di far morire l’adorato Porthos a chiusura della trilogia.
Tra le altre opere celebri La regina Margot e Il tulipano nero. Ma è soprattutto Il conte di Montecristo a garantirgli fama imperitura. Sono trascorsi 180 anni dalla sua prima pubblicazione (a puntate sul Journal des Débats dal 28 agosto 1844 al 16 gennaio 1846). Milioni di copie vendute, decine di adattamenti cine-televisivi, un musical, un fumetto di Paperino. Da noi persino ridotto e illustrato per le figurine Liebig e le strisce della Magnesia San Pellegrino. Segno di una popolarità che torna ciclicamente a rigenerarsi. Lunedì su Rai1 l’ultima puntata della miniserie tratta dal romanzo e diretta dal premio Oscar Bille August con Sam Claflin nei panni del protagonista ha registrato l’ennesimo primato di ascolti. I telespettatori – come già accaduto nel 1966 con lo sceneggiato che rese celebre Andrea Giordana – si sono convertiti in lettori. Il classico francese, ripartito negli svariati tomi che affollano le librerie, torna a scalare le classifiche. L’edizione più gettonata è quella targata Einaudi (1.240 pagine tradotte da Margherita Botto e introdotte dalla prefazione di Michele Mari).
“È senz’altro uno dei romanzi più appassionanti che siano mai stati scritti” ha annotato Umberto Eco “e d’altra parte è uno dei romanzi più mal scritti di tutti i tempi e di tutte le letterature”. In effetti il feuilleton è scandito da imprecisioni e ripetizioni dovute alla mole del testo perché Dumas “era pagato un tanto a riga e doveva allungare”. Insieme a Balzac e Hugo, forma nell’ottocento francese una “trinità letteraria”, solo che a differenza dei due colleghi Dumas è costantemente snobbato dalla critica, complice il suo successo e la sua prolificità (trecento fra romanzi, racconti, poesie, opere teatrali, libretti d’opera, saggi, ricettari di cucina). Senza dimenticare la taccia di “corsaro” in virtù del contributo di diversi collaboratori nell’ideazione e nella prima stesura delle sue opere.
Chissà fino a che punto sia merito del suo più celebre ghost writer, tale Auguste Maquet, la fortuna del Conte di Montecristo. Il protagonista è Edmond Dantès, un giovane marinaio che sbarca a Marsiglia nel 1815 e viene promosso capitano della nave Pharaon. La sua fortuna causa le invidie di Danglars, anche lui marinaio della nave, Caderousse, un vicino di casa del padre, e Fernand Mondego, innamorato di Mercédès, la donna promessa sposa di Edmond. I tre lo incastrano, con la complicità di un magistrato corrotto, e lo fanno arrestare per sospetto bonapartismo. Viene incarcerato al Castello d’if. Decisivo è l’incontro con l’abate Faria, anch’egli prigioniero. L’abate gli rivela il suo piano di fuga e l’esistenza di un tesoro sull’isola di Montecristo. Alla sua morte Edmond riesce a fuggire e con l’aiuto di contrabbandieri a impossessarsi del tesoro. Nasce così la sua nuova identità e nei panni del conte di Montecristo dà avvio alla sua vendetta. Scopre che Mercédès, credendolo morto, si è sposata con Fernand, in seguito incriminato e poi suicida. Caderousse cade in una trappola mortale e Danglars, in bancarotta, implora clemenza. Il romanzo si chiude con Dantès che parte per l’oriente insieme a Haydée, una sua schiava, per rifarsi una nuova vita. Un eroe tragico diviso tra giustizia e provvidenza che infine sceglie il perdono perché “gli uomini veramente generosi sono sempre pronti a diventare misericordiosi, quando la disgrazia del nemico oltrepassa i limiti della loro collera”.