Avvenire, 8 febbraio 2025
Il capostruttura Rai Maffucci, alias il “Cardinale”
Pochi conoscono i segreti dei backstage della Rai e dei grandi eventi del secolo scorso (i megaconcerti italiani di Madonna, Pink Floyd, Pavarotti and friends) fino ai giorni nostri come l’85enne storico capostruttura Mario Maffucci, alias il “Cardinale”. Eminenza grigia amata e rispettata che nel libro-intervista Samurai (Fuori Scena), scritto con Andrea Scarpa, si autodefinisce un Forrest Gump della tv. «Come il personaggio meraviglioso interpretato da Tom Hanks credo di aver fatto delle cose straordinarie, molto più grandi di me, grazie al coraggio e il peso delle mie idee. E poi ho avuto la fortuna di lavorare con dei dirigenti che erano dei giganti: Ettore Bernabei, Biagio Agnes, Fabiano Fabiani. Ho avuto il più bravo direttore di rete, Emanuele Milano, e il miglior collaboratore possibile in Michele Guardì. Tutta gente che rappresentava lo zoccolo duro dell’azienda e che ha lottato per evitare la spartizione del potere. La nostra unica preoccupazione era di lasciare una Rai che somigliasse alla Banca d’Italia e il mantra per tutti era “fare il bene comune”». Lo dice con il piglio rivoluzionario che nel 1987 ebbe il coraggio di sfidare il Cavaliere con un Fantastico 8 affidato alla mina vagante Adriano Celentano. «Silvio Berlusconi portando a Mediaset Pippo Baudo e Raffaella Carrà pensò: le punte di diamante ce l’ho io, adesso voglio vedere come farà la Rai. Ma non aveva fatto i conti con una dirigenza Rai che allora era coesa e aveva nel direttore Milano uno che sapeva rischiare. Così quando mi chiese cosa facciamo, io come a un quiz fatto in casa tra amici risposi: chiamiamo Celentano». Tra pause imbarazzanti e comizi in diretta stile Quinto potere il Fantastico del “Molleggiato” fu un successo mediatico senza precedenti, con tanto di incidenti diplomatici come lo slogan antireferendario “La caccia “e” contro l’amore”. «Ma la “e” non accentata era il minimo – sorride Maffucci – il grave fu che il procuratore generale dello Stato fece arrivare un avviso di garanzia a me e al direttore Milano. Adriano sottoposto a interrogatorio ci difese assumendosi tutte le responsabilità. Non si era neanche accorto che aveva danneggiato gli ambientalisti: la scheda compilata scrivendo il suo slogan sarebbe stata annullata... Celentano lo sento? Ogni tanto, l’ultima volta mi ha detto. “Io i libri come il tuo li leggo, ma non partecipo”». Il momento di massima partecipazione di Maffucci è stato al fianco del Trio, Anna Marchesini, Tullio Solenghi e Massimo Lopez. «Dopo il successo di Fantastico avevo chiesto ad Anna Marchesini di pensare a un qualcosa in stile Monty Payton e lei rispose perplessa: “Non è una cosa per noi, però ci penso”. Fortuna volle che a una festa Anna incontrò una signora di Orvieto che gli disse: “Ma perché non fate i Promessi sposi?” Un lampo di genio. I Promessi sposi del Trio ormai sono storia della tv». Quella parodia seguiva di pochi mesi la fiction di Rai1 con Renzo interpretato da Danny Quinn. Uno dei figli d’arte, con Rosita Celentano, Gianmarco Tognazzi e Paola Dominguin ai quali Mario Maffucci, capostruttura di Sanremo dal 1982 al 2001, diede la conduzione del Festival dell’89. «L’idea dei figli d’arte pare fosse stata della moglie di un misterioso ministro.. Aggiungo, tra quelli doveva esserci anche Christian De Sica che però alla proposta rispose. “Ma che me volete male?”» L’anno dopo comincia il sodalizio con Pippo Baudo. «Un maestro Pippo, mi ha insegnato l’abc della tv generalista». Ma il più originale tra i condottieri sanremesi per Maffucci è stato l’altro Adriano, Aragozzini. «Un genio di una vitalità unica anche adesso che ha 86 anni. Aragozzini riportò l’orchestra sul palco di Sanremo e insieme al sottoscritto diede un colpo di spugna aprendo all’innovazione tecnologica e abolimmo la schedina del Totip introducendo la votazione demoscopica dei cantanti in gara. Per questo mi ribattezzò il “Samurai”». Scommesse vinte, come quelle dei Sanremo postbaudiani puntando su Mike Bongiorno, Raimondo Vianello e il giovane Fabio Fazio. «Con Mike fu dura. Non ne voleva sapere di abbandonare la veste istituzione del conduttore di telequiz, ma sua moglie Daniela lo convinse che quella versione teatrale era la scelta giusta e il resto lo fece lo spirito dissacratorio di Piero Chiambretti. Raimondo fece un Sanremo alla pulp fiction con le due vallette, la “bella” Eva Erzigova e la “brutta” Irene Pivetti che poco prima di andare in scena seppe che quello sarebbe stato il suo ruolo e scoppiò in lacrime minacciando di abbandonare il Festival… La vidi tornare poco prima della diretta con Raimondo che ridevano come pazzi… Assieme fecero un Sanremo troppo intelligente e infatti perdemmo qualche punto di share. Fazio presentò il suo Sanremo come “il Festival di tutti”. Con l’intuizione di mia moglie gli affiancammo il premio Nobel Renato Dulbecco e fu un trionfo». Era il 1999, l’ultimo trionfo sanremese di Maffucci che resta un attento osservatore del Festival. «Carlo Conti è perfetto alla conduzione. Il futuro? Vedo bene Marco Liorni che però paga la sua buona educazione. Stefano De Martino è un po’ scamiciato ma con qualche aggiustamento ci siamo. Amadeus è stato molto bravo, ma come Fazio hanno lasciato la Rai non per soldi ma perché non si sentivano più tutelati da un’azienda che non fa altro che ripetere il mantra il “Paese ha bisogno di una nuova narrazione”. Il Paese semmai ha bisogno di più narrazioni. Alla Rai stiano più attenti a capire in quale direzione sta andando davvero questo Paese».