Avvenire, 6 febbraio 2025
«Non ho mai capito se il carcere abbia un senso»
«L’opera di visitare i carcerati è una testimonianza che queste persone fanno parte della comunità e non sono estranei. Non ho mai capito se il carcere abbia un senso e se la forma di pena nella detenzione sia una cosa giusta. Le condizioni attuali del carcere, certamente, rendono ancora più problematico tutto questo. L’impianto di chi si occupa di giustizia, penso che debba essere quello di una riforma profonda, anche se non saprei indicare una via da percorrere se non quella della ricerca del bene comune, di chi lavora in carcere, di chi è detenuto secondo la logica della giustizia riparativa che sta diventando un’ipotesi realistica».
A dirlo è stato l’arcivescovo che ha preso parte al convegno “Ricostruire la speranza: pena e comunità in dialogo”, all’Università Cattolica promosso dall’ateneo e dalla diocesi. Un’assise, a più voci di esperti, che avvia un intenso palinsesto di iniziative dedicate, da tutte le 12 facoltà della “Cattolica”, al tema della speranza declinata a livello transdisciplinare. Così come ha spiegato, in apertura, la rettrice Elena Beccalli, sottolineando la convinzione che «per ricostruire la speranza, sia necessario fare affidamento sull’altro e quindi sulla comunità».
Poi, l’intervento di Delpini che parte dall’espressione evangelica “Ero in carcere e siete venuti a visitarmi”. «Questa opera di misericordia corporale – ha detto l’arcivescovo – è la testimonianza che i carcerati fanno parte della comunità dei discepoli e non sono vite finite in un mondo a parte. La società si protegge da coloro che l’hanno danneggiata e le mura dei penitenziari sono ciò che sembra dissuadere dal cerare rapporti tra “dentro” e “fuori”, mentre la visita è un immagine del carcere come appartenente alla città», ha detto il presule. «Considerare i detenuti persone attesta che la comunità si prende cura della loro vicenda e qui si manifesta un ruolo fondamentale della comunità sociale per propiziare anche il reinserimento del carcerato. Non si tratta di un’elemosina di tempo o di attenzione, ma del desiderare il bene che susciti una possibilità di risposta e di relazione».