Il Messaggero, 6 febbraio 2025
Trasformare zone di guerra in località turistiche
La storia corre veloce. Uno dei luoghi più visitati di Ho Chi Minh City, vale a dire Saigon, è il Museo dei Resti della guerra che, fino al 1990, si chiamava Museo dei crimini di guerra. Poi però c’è stata la normalizzazione dei rapporti con gli Usa, in Vietnam ora ci sono importanti investimenti americani, e il nome è stato cambiato. Bene, chi visita quel museo, tra caccia e carri armati in mostra, incontra decine e decine di turisti statunitensi: i più anziani sono veterani della guerra del Vietnam, i più giovani vogliono capire qualcosa di più della storia del proprio padre o del proprio nonno che ha combattuto in quella terra. Più a Nord, c’è Da Nang, una sorta di piccola Miami: spiagge bellissime, hotel di lusso, grattacieli, è uno degli hub del turismo nel sud-est asiatico. E anche qui la presenza di viaggiatori americani è evidente. Eppure, appena sessant’anni fa, a Da Nang sbarcarono le truppe Usa durante la guerra del Vietnam, una delle più sanguinose. Tutto è cambiato. Chissà, Donald Trump, quando ha lanciato l’idea di ricostruire a Gaza una città turistica piena di resort e hotel a cinque stelle, aveva in mente lo skyline di Da Nang e la sua vorticosa e in parte incredibile trasformazione. La differenza tra il Vietnam e la Striscia di Gaza, ovviamente, è abissale. Nell’enclave palestinese i bombardamenti e i combattimenti sono stati concentrati in un territorio relativamente poco esteso, dove vivevano due milioni di persone che, in gran parte, vogliono restare nelle loro case o, più correttamente, in quelle che saranno ricostruite. Si piangono oltre quarantamila vittime e l’idea di trasferire (deportare) quasi 2 milioni di palestinesi in altri Paesi appare spaventosa e inapplicabile. Così come, forse per lo sgomento per quanto avvenuto dal 7 ottobre 2023 – prima il massacro di Hamas, poi la reazione dell’esercito israeliano – appare complicato pensare che dieci anni dopo sulle spiagge di Gaza, dove ci sono state sofferenza e distruzione, ci si possa andare a divertire tra spiagge, mojito, chiringuito, hotel e resort delle principali catene internazionali o addirittura si possa ambientare la quindicesima stagione di The White Lotus. La storia più recente però ci ricorda un altro progetto che in qualche modo assomiglia a quello prospettato da Donald Trump: i russi vorrebbero costruire resort e attrazioni turistiche a Mariupol, la città ucraina del feroce assedio durato molti mesi nel 2022, quasi distrutta dalla violenza dell’esercito di Putin che oggi la controlla. Il pensiero va alla battaglia delle acciaierie, ma anche al bombardamento del teatro che era usato come rifugio dove morirono centinaia di persone.Mosca progetta, secondo un articolo pubblicato qualche mese fa dal quotidiano Komsomolskaya Pravda di costruire almeno venti resort, nella zona di Mariupol, che si affaccino sul Mar d’Azov (una grande baia a Est del Mar Nero). Ha scritto il quotidiano: «Hanno praticamente già inventato uno slogan per le vacanze in spiaggia: “Un mare di comfort per la famiglia”. L’Azov è poco profondo e caldo, per cui tutti i 20 futuri resort sono progettati per le vacanze di genitori con bambini». D’altra parte, già le famiglie russe vanno in vacanza in Crimea, la penisola presa da Putin con la prima offensiva, quella del 2014.