Libero, 5 febbraio 2025
Dipinti che nascondono altri dipinti
Soltanto il fuoco cancella per sempre. Chi vuole estinguere una prova, la bruci. Fuori dalle fiamme, non c’è oblio, ma conoscenza. Una versione di Ecce Homo, attribuita a Tiziano – non è il famoso Ecce Homo conservato al Prado di Madrid -, nasconde un’altra opera. Un altro Tiziano sotto Tiziano, dicono: «Un ritratto rimasto nascosto per secoli sotto un dipinto ad olio del 1570, una riproduzione del quale è ora esposta nella città di Limassol» nell’isola di Cipro, afferma Nikolas Bakirtzis, capo di una équipe di ricercatori che ha analizzato l’opera. Le indagini hanno mostrato che l’Ecce Homo copre un signore coi baffi, in posa signorile.
Sarà il tempo a dire se son bubbole o verità, ma il quadro che nasconde il quadro, l’opera che occulta l’opera, il capolavoro che cela il capolavoro, è una delle strade più affascinanti, immaginifiche e ricorrenti, che l’arte, anche con l’aiuto della scienza moderna, può innescare in noi. La storia dell’arte è piena di cancellazioni, pentimenti, abiure, sconfessioni, ricicli, autocensure. Così come è piena di mani di bianco, tirate sopra incredibili affreschi per farci nascere pitture e capolavori nuovi. Chiese, abbazie, cattedrali, palazzi, teatri, musei sono pieni di opere nate dalla soppressione di altre opere. E oggi, grazie a radiografie, riflettografie, stratigrafie, studio dei pigmenti e confronto delle fonti esistenti, possiamo in parte scoprire questo pregresso finora sconosciuto. Se ne possono contare fino all’indefinito: Michelangelo, Raffaello, Tiziano, Van Gogh, Picasso, Rembrandt. Qui ne nominiamo soltanto alcuni, simbolici, a volo d’uccello.
L’Italia possiede solo tre opere di Gustav Klimt. Una di queste è Ritratto di signora, fatto dall’artista negli ultimi due anni di vita, tra il 1916 e il 1917, conservato alla Galleria Ricci Oddi di Piacenza. Una ragazza dalle gote rosse, bellissime, nasconde un ritratto più invernale, plumbeo. Klimt lo cancella. Perché? Solo Iddio può saperlo, ma sappiamo che era già passato il momento aureo dei suoi capolavori che avevano sconvolto l’Austria, la grande Secessione viennese. Forse Klimt ha voluto lasciare nella ragazza dalle guance arrossate l’ultimo bagliore di una primavera che, in vita e nell’arte, non ebbe più. Vincent Van Gogh era povero in canna. Non vendeva, non era riconosciuto. Le tele che riusciva a recuperare, le arava – diceva – come i contadini fanno con i campi. Sotto il dipinto Testa di contadina del 1885 si nasconde un
suo ritratto. È assolutamente prevedibile che, in lui, l’insoddisfazione, la febbre, l’indigenza, o l’ascolto dell’assoluto, o tutte queste cose insieme, lo abbiano portato a cancellare il suo volto per compiacere la beltà di quella ragazza di cui non conosceremmo mai il nome.
Picasso era Picasso anche in vita. Gloria, riconoscimenti, fidanzate, clamori hanno contrassegnato la sua esistenza, distinguendolo dagli altri artisti che hanno reso intramontabile la Parigi d’inizio Novecento. Ma quando da giovane dalla Spagna si trasferì a Parigi, era povero in canna. Le tele se le sudava. E così anche un piccolo quadro del 1901, del cosiddetto Periodo Blu, intitolato appunto La stanza blu, ha rivelato sotto le indagini scientifiche che il ritratto di un uomo barbuto, pensieroso, si sta celando lì sotto. Un pentimento, come quelli descritti da Gertrude Stein? Un riciclo per spender meno? La storia finora lascia aperta la strada.
Paul Cézanne non era povero. Suo padre fondò ad Aix-en-Provence una banca che portava il loro nome. Tra l’arte, una vita da banchiere o l’abito giudiziario, scelse l’arte, ma il cammino non era facile. All’inizio, tanti rimorsi e ravvedimenti. Come nell’opera Natura morta con pane e uova del 1865 che vela un ritratto signorile d’impronta accademica.
Anche il divin pittore che ammutolì la natura, Raffaello, è stato messo sotto analisi. E una delle sue opere più modeste, la Dama con unicorno del 1505-1506, tenuta alla Galleria Borghese di Roma, ha dimostrato di essere il terreno di un ravvedimento, o pentimento, o auto-censura: la signora nella versione attuale tiene un unicorno in mano, mentre le indagini hanno rivelato che nella prima versione vi fosse al suo posto un cagnolino. Per il gossip nostrano, l’unicorno è simbolo di verginità, il cagnolino di fedeltà coniugale.
Oltre a questi casi che possono allungarsi ancora con i nomi di Modigliani e di tanti altri, la storia dell’arte ci rivela che tante opere sono esistite soltanto grazie al fatto che sono andate a coprire opere precedenti.
Un esempio mitologico? È cronaca, soap opera di questi anni. La ricerca – la caccia! – al Leonardo da Vinci a Palazzo Vecchio a Firenze, con sindaco Matteo Renzi e le telecamere della National Geographic. La decorazione del povero e immenso Giorgio Vasari doveva nascondere un tesoro più prelibato dietro di essa: la Battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci, realizzata secondo le fonti tra il 1503 e il 1504, e mai veramente scoperta.
Ma anche nel luogo per eccellenza dell’arte mondiale, come lo sono i Palazzi Vaticani a Roma, noi possiamo vedere o immaginare o solo supporre il capolavoro che cela un altro capolavoro. Abbiamo soltanto l’imbarazzo della scelta. Basta andare in uno spazio che sembra un granaio e guardare in alto: nei primi del Cinquecento avremmo visto una grande volta, tutta affrescata con un cielo stellato di Piermatteo d’Amelia. Una crepa improvvisa e incombente aprì la strada al futuro. Il futuro si chiamava nel 1506 Michelangelo Buonarroti. Come è finita lo sappiamo. Il luogo è la Cappella Sistina.