Avvenire, 5 febbraio 2025
Simone Cristicchi parla di "Quando sarai piccola"
Restate in silenzio e tenetevi forte alla poltrona (con un fazzoletto a portata di mano) quando Simone Cristicchi planerà al Festival di Sanremo per colpirvi al cuore con Quando sarai piccola, un brano che va oltre la gara. Un raggio di luce sul palco dell’Ariston che arriva dritto dalla nebulosa detta “L’occhio di Dio” che campeggia sulla copertina del suo intensissimo album Dalle tenebre alla luce che verrà rieditato integrato il 14 febbraio per Dueffel Music. Il cantautore romano proporrà i versi delicatissimi di una canzone, scritta con la compagna Amara, che racconta la fragilità di una madre malata, la sua Luciana, tornata bambina dopo essere stata colpita nel 2012 da una grave emorragia cerebrale, e l’amore restituito dei figli che si trasfor-mano in genitori. Lui era in autostrada di ritorno da un concerto, i medici non avevano lasciato speranze: la signora era morta clinicamente, fin quando cinque giorni dopo si è risvegliata senza che i medici sapessero dare una spiegazione. «Non era la stessa Luciana di prima – racconta il cantautore che incontriamo a Milano -. L’anima è intrappolata in una corazza che non le permette di fare granché o di esprimersi correttamente». Luciana è una «nonna speciale» per i suoi nipotini che «è sempre in prima fila con la carrozzina quando salgo sul palco a Roma e sorride comunque illuminando il mondo».
Simone Cristicchi come mai ha scelto di raccontare un tema così delicato e personale al Festival?
«È vita vera, vissuta ogni giorno, ed è per questo che io mi sentirò nudo su quel palco. Ho già ricevuto migliaia di mail e messaggi di persone toccate da questo argomento. La canzone era ferma da 5 anni e fortunatamente Carlo Conti ha compreso il suo valore: è un brano terapeutico, che forse potrà aiutare a sensibilizzare su questo tema universale, pur essendo poco trattato».
Mette in luce il dolore, ma anche la speranza, tema cui papa Francesco ha dedicato questo Giubileo.
«Io credo che noi non possiamo fare altro che sperare, in questo mondo che ci pone di fronte a delle problematiche così violente e totalizzanti. La speranza non è da stupidi, ma è intelligenza. Il mio spettacolo su Dante Paradiso – Dalle tenebre alla luce presenta questa consapevolezza dantesca di poter trasformare quasi in maniera alchemica, col tempo e con pazienza, il piombo in oro, il dolore, la violenza, la parte in ombra in qualcosa di bello».
Si parla spesso di “buona mor-te”, ma non si parla mai di “buona vita”. Bisognerebbe parlare di più di chi resiste nonostante le difficoltà?
«Sì, nel racconto di questo evento che è contenuto nel mio libro
Happy next – La ricerca della felicità ho concluso con il sorriso di Luciana. Nel momento in cui lei avrebbe il sacrosanto diritto di maledire la vita per quello che le è accaduto, lei sorride. E quel sorriso è il più grande insegnamento che io ho da parte sua. È una resistenza e un affidamento al destino, al caso, a quello che ha voluto avvenisse questo, ma al tempo stesso è quella forza interiore che le permette di gioire anche del poco che lei riesce a fare e a vivere. È un ritorno anche all’essenza. È stato difficile per lei e per tutti noi fratelli accettare la disabilità. Poi ognuno la prende a modo suo. Lei ha dimostrato una forza gigantesca. La nostra grande mamma ci insegna davvero che bisogna dare alla vita il valore giusto che merita».
Come raccontare tutto ciò in una canzone?
«Ci è voluto tanto tempo per cesellare questi versi, non è stato facile scriverli per me. Inizialmente con Amara ci eravamo concentrati sulla tenerezza, sul prendersi cura di una madre anziana che torna bambina e ho sentito l’importanza di inserire quel senso di impotenza di fronte a questa trasformazione della vita e quindi la rabbia. Ho cercato di non essere retorico, ci vuole un attimo a scadere nel patetico».
Lei ha spesso dedicato brani alle persone fragili. Come mai?
«La mia e’ una attitudine verso i fragili attitudine che avevo sin da bambino. Se non avessi avuto lo sfogo dell’arte e della creatività come il disegno e la musica, sarei stato un uomo violento e chiuso in me stesso. Nasco come disegnatore, attraverso la creatività ho trasformato il dolore per la perdita di mio padre quando avevo dieci anni, in luce. Ecco perché mi sono sentito vicino agli esclusi, ai malati di mente, agli anziani. Con gli anziani ho lavorato moltissimo soprattutto per le mie ricerche storiche per la trilogia legata alla Seconda guerra mondiale (fra cui Magazzino 18).
La canzone di Sanremo nasce anche per l’attenzione al mondo degli anziani».
Il suo lavoro è anche proiettato verso la spiritualità più profonda, questa è la vera trasgressione oggi?
«Io sono fiducioso che si possa ritrovare quella scintilla divina che è in noi. È importantissimo trovare uno spazio in cui dedicarsi a se stessi e al silenzio. Nel silenzio noi possiamo contattare quella scintilla che è la nostra anima e di cui si parla sempre meno. La nostra anima si nutre di arte bellezza e meraviglia, se noi poniamo attenzione a tutto ciò che di meraviglioso ci circonda possiamo evolverci come esseri umani. Se raccontiamo solo un mondo orribile, raccontiamo una falsa visione della realtà».
Tematiche che si ritrovano anche negli spettacoli che continuerà a portare in tournée anche quest’anno dedicati a Battiato e san Francesco.
«Per la serata delle cover ho scelto La Cura di Franco Battiato, in duetto con Amara. Sono quattro anni che portiamo in giro lo spettacolo Torneremo ancora – Concerto mistico per Battiato, un omaggio alla sua produzione più spirituale. È una sorta di “ritiro spirituale da cui si esce cambiati” come dice il mio amico monaco e sacerdote Guidalberto Bormolini, accompagnatore nell’ultima fase della vita di Battiato.
Franciscus invece vuole capire l’attualità di san Francesco e capire nel mondo di oggi: resta un grande maestro».
Lei si ritroverà a Sanremo al fianco di trapper e rapper che usano parole “pesanti”. Lei cosa pensa?
«La parola è potente nel momento in cui è preceduta da un pensiero potente. Inoltre il mondo è creato dalle nostre parole, la nostra realtà si fonda sulla profondità o meno delle parole che usiamo. Io mi reputo un artigiano della parola. Io voglio morire da poeta prima di cantante o attore»