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 2025  febbraio 05 Mercoledì calendario

Bergoglio soddisfatto del patto con la Cina

Lo scorso 22 ottobre 2024 la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese hanno rinnovato per altri quattro anni l’Accordo sulle nomine dei vescovi, sottoscritto la prima volta il 22 settembre 2018 e già prolungato due volte, nell’ottobre 2020 e nell’ottobre 2022. «Visti i consensi raggiunti per una proficua applicazione dell’Accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi» la Santa Sede firmava così l’intenzione di proseguire «il dialogo rispettoso e costruttivo con la Parte Cinese per lo sviluppo delle relazioni bilaterali in vista del bene della Chiesa cattolica nel Paese e di tutto il popolo cinese». Sul volo di ritorno dal lungo viaggio apostolico in Estremo Oriente il 14 settembre scorso, nel corso della conferenza stampa, papa Francesco aveva espresso soddisfazione riguardo all’Accordo: «Io sono contento dei dialoghi con la Cina, il risultato è buono, anche per la nomina dei vescovi si lavora con buona volontà. E per questo ho sentito la Segreteria di Stato, su come vanno le cose: io sono contento». Anche alla luce di queste dichiarazioni si comprende la volontà di raddoppiare gli anni di proroga. L’Accordo provvisorio sulle nomine dei vescovi cattolici cinesi – che prevedeva un periodo di applicazione ad experimentum della durata di due anni – era stato firmato a Pechino il 22 settembre 2018 da rappresentanti della Santa Sede e del governo della Repubblica Popolare Cinese. Nell’ottobre 2020, la validità dell’Accordo era stata poi prorogata per un altro biennio. La strada del dialogo attraverso lo strumento dell’Accordo, dal 2018 ad oggi, ha contribuito a favorire cambiamenti concreti che toccano il vissuto delle comunità cattoliche cinesi – è stato fatto osservare dalla Santa Sede – considerato che la vita ecclesiale in Cina procede nel segno di una ritrovata ordinarietà pastorale, dopo l’ordinazione di vescovi nominati secondo le procedure definite dall’Accordo. Per cogliere le ragioni dell’orientamento manifestato dal Papa e dai suoi collaboratori, basta infatti tener presente la storia recente del cattolicesimo in Cina e riconoscere quale è la bussola che da decenni guida i passi della Santa Sede davanti alle vicende dei cattolici cinesi.
Dalla firma dell’accordo, in Cina non si sono più verificate ordinazioni episcopali illegittime, quelle celebrate senza consenso papale, che dalla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso avevano provocato lacerazioni dolorose tra i cattolici cinesi. Negli ultimi quattro anni, in Cina sono avvenute sei nuove ordinazioni episcopali cattoliche, con procedure che implicano anche l’emissione della bolla di nomina da parte del Papa. Nello stesso lasso di tempo, sei vescovi cosiddetti “clande-stini”, consacrati in passato senza seguire i protocolli imposti dagli apparati cinesi, hanno chiesto e ottenuto il riconoscimento pubblico del loro ruolo anche da parte delle autorità politiche di Pechino. Ma il primo dato oggettivo da rilevare è che dalla firma dell’Accordo provvisorio tutti i vescovi cattolici della Repubblica Popolare Cinese sono oggi in piena e pubblica comunione gerarchica con il Vescovo di Roma.
Lo scopo principale dell’Accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi in Cina è quello di sostenere e promuovere l’annuncio del Vangelo, ricostituendo la piena e visibile unità della Chiesa. I motivi principali, infatti, che hanno guidato la Santa Sede in questo processo, in dialogo con il governo cinese, «sono fondamentalmente di natura ecclesiologica e pastorale», come espresso nel Messaggio di papa Francesco del 26 settembre 2018 diretto ai cattolici della Repubblica Popolare. In questo arco di tempo si sono superati momenti di tensione e difficoltà, come quelli seguiti al trasferimento del vescovo Giuseppe Shen Bin a Shanghai su disposizione delle autorità governative, nell’aprile 2023. Lo scorso 21 maggio, proprio Giuseppe Shen Bin è stato uno dei relatori, a fianco del cardinale segretario di Stato vaticano Pietro Parolin, al convegno sui cento anni dal primo Concilium Sinense (1924-2024), organizzato a Roma dalla Pontificia Università Urbaniana (parte integrante del Dicastero per l’Evangelizzazione) in collaborazione con la vaticana Agenzia Fides. Poi, il 22 giugno, il trasferimento del vescovo Giuseppe Yang Yongqiang dalla diocesi di Zhoucun alla sede diocesana di Hangzhou è avvenuto senza problemi. Segno che anche sulla questione dei trasferimenti di vescovi da una diocesi all’altra il dialogo tra Santa Sede e Pechino ha permesso di definire e porre in atto procedure condivise.
Lo scorso anno presenti all’Assemblea generale del Sinodo dei vescovi c’erano due vescovi della Repubblica Popolare Cinese: Vincenzo Zhan Silu, vescovo di Funing-Mindong e Giuseppe Yang Yongqiang, vescovo di Hangzhou. «La Chiesa in Cina è uguale alla Chiesa cattolica negli altri Paesi del mondo: apparteniamo alla medesima fede, condividiamo lo stesso battesimo e siamo tutti fedeli alla Chiesa una, santa, cattolica e apostolica», ha detto il vescovo Giuseppe Yang Yongqiang nel suo intervento in aula sinodale.
I vescovi della Repubblica Popolare Cinese avevano preso parte alle Assemblee sinodali solo nel 2018 e poi nel 2023. «Abbiamo vissuto un miracolo. Siamo qui per ringraziare, abbiamo atteso tanti anni questo momento e finalmente è arrivato» aveva raccontato il vescovo Giuseppe Guo Jincai nell’ottobre 2018 ad Avvenire, in occasione della sua partecipazione al Sinodo sui giovani. In precedenza, nessun presule proveniente dalla Cina continentale aveva potuto prender parte al Concilio Vaticano II, né alle successive Assemblee generali delSinodo dei vescovi