il Fatto Quotidiano, 5 febbraio 2025
Editori indipendenti, però quasi morenti
“Sa quanto rimane in tasca all’editore, tolti tutti i costi? Il 10% del prezzo di copertina, sempre che si faccia l’editing e l’impaginazione da solo. Così difficilmente si sopravvive”. In un Paese in cui esistono quasi 2.000 editori attivi, la maggior parte di loro non se la cava tanto bene. Parliamo della piccola e media editoria indipendente, quella cioè che non appartiene ai grandi gruppi e che, per vedersi esporre nelle libreria di catena, deve accettare – suo malgrado – alcune imposizioni. “Mi è appena arrivata una mail da Emme Promozione, l’agenzia che molti di noi utilizzano – ci racconta un editore che preferisce rimanere anonimo –. Mi comunicano che ‘per la messa in linea dei titoli novità nella catena di librerie fisiche e online (Ibs) del gruppo Feltrinelli è richiesto l’adeguamento dello sconto in anagrafica al 48%’. E la Direzione Feltrinelli ci ha fatto sapere che non è disposta a trattare. O accetti o sei fuori”. Dal 45 al 48%, praticamente la metà del prezzo di copertina, cui bisogna sommare un 6-8% per la promozione, un 8-10% per la distribuzione, un 15-18% per la stampa, un 7-10% per l’autore. Tradotto: se il lettore acquista un libro che costa 20 euro, nelle casse dell’editore entrano circa 2 euro. Una miseria per un mercato già profondamente in crisi. E se qualcuno, come vedremo, sopravvive grazie a soluzioni alternative, tutti concordano nel sostenere che, senza interventi strutturali, la fine è sempre più vicina. Anche perché, ed è il problema di fondo, si pubblicano 85mila titoli (con una tiratura complessiva di circa 200 milioni copie) in un Paese in cui il 74% dei cittadini tra i 15 e i 74 anni legge uno o poco più libri all’anno.
La concentrazione verticale
In Italia ci sono quattro grandi gruppi che sono presenti in tutti i punti della filiera. Parliamo di Mondadori, Mauri Spagnol, Giunti e Feltrinelli che detengono quasi il 53% del mercato trade (saggistica, narrativa, e-book, audiolibri) attraverso più marchi editoriali, oltre alla distribuzione (in mano a Messaggerie, che arriva a pagare gli editori a 185 giorni), alla promozione e ai punti vendita. “È una concentrazione verticale – spiega Isabella Ferretti, editrice di 66thand2nd –. Generano maggiore fatturato, hanno più autori, fanno più eventi. Questi agglomerati creano un altro problema: possono farsi concessioni reciproche e negoziare condizioni competitive tra gruppi. Inoltre, se uno di loro fa un investimento da un milione di euro sulla catena libraria, quei soldi finiranno comunque nei bilanci consolidati del gruppo. Se un indipendente fa un investimento gli si riduce la marginalità. Detto questo, se dovessero venire a mancare le catene, e in particolare Feltrinelli che ha 300 librerie, il mercato editoriale italiano crollerebbe. Feltrinelli ha cercato la collaborazione di editori e io ho deciso di dare fiducia. L’assenza di una infrastruttura legislativa adeguata ci condanna tutti a un indebitamento strutturale, da cui gli editori indipendenti non riescono a salvarsi”.
Davide contro Golia
Si tratta, dunque, di una battaglia impari che finisce col generare una guerra tra poveri. Molti editori che abbiamo contattato non ci hanno voluto rispondere per paura di esporsi. Altri, invece, ci tengono a sottolineare gli ottimi rapporti con Feltrinelli: “È la catena con cui lavoro meglio – assicura Giulio Perrone dell’omonima casa editrice –, anzi ultimamente la collaborazione è aumentata. Poi è chiaro che ognuno fa i suoi interessi. Per eliminare i costi della filiera dovresti vivere di fiere o presentazioni nei locali, ma per quante tu possa organizzarne non ce la faresti comunque. Più che parlare di buoni o cattivi, bisognerebbe aprire un tavolo di confronto”. Tra gli indipendenti, prima di tutto: oltre 200 di loro sono soci dell’Adei, qualcuno adesso sta pensando di costituire un sindacato, “ma un sindacato d’imprese non s’è mai visto”, commenta un anonimo. Insomma, l’impressione è che si vada tutti verso il burrone, ma in ordine sparso.
Con la cultura non si mangia
Nell’anno del Covid c’è stata una sorta di ubriacatura collettiva, perché sembrava che il Paese avesse riscoperto la lettura. Come tutte le ubriacature, ha lasciato solo un gran mal di testa: gli anni successivi – in particolare il 2022, ma il 2023 e il 2024 non sono comunque andati molto meglio – il mercato è crollato. Allora, dicono gli editori, servirebbero interventi strutturali. “Da due anni mancano strumenti di sostegno – spiega Andrea Palombi, presidente di Adei ed editore di Nutrimenti –. La App18, che aveva funzionato bene, è stata sdoppiata nella Carta Cultura, per cui è stato fissato un tetto Isee di 35mila euro, e nella Carta Merito. E poi aspettiamo il ripristino del Fondo per le biblioteche, che era un provvedimento virtuoso perché obbligava le biblioteche a fare acquisti nelle librerie di prossimità. Sono stati stanziati 30 milioni di euro nel Decreto cultura, 24,8 per quest’anno ma solo 5,2 per il 2026. Speriamo che queste cifre si possano rivedere. È stato poi istituito un fondo di 4 milioni per gli under 35 che vogliano aprire una libreria. A novembre abbiamo incontrato il ministro Giuli e siamo stati auditi di recente in commissione Cultura. La verità è che con gli interventi spot non si va da nessuna parte”. La verità è anche che manca una Legge per il libro: alla fine della scorsa legislatura si era quasi arrivati a una quadra, poi è caduto il governo e così pure la legge. Secondo i dati Aie 2024, siamo il Paese europeo che ha subito una maggiore contrazione lo scorso anno, meno 1,5% (per dire, il Portogallo è cresciuto dell’8,8%). Il calo maggiore, pari al 9,3%, pesa sugli editori con un venduto tra 1 e 5 milioni. “Eppure, a differenza del cinema, almeno finora, noi non abbiamo mai goduto del tax credit”, prosegue Ferretti.
Chi fa da sé non fa per tre
In questo panorama disarmante, c’è chi s’è inventato una soluzione che sembra funzionare: “Partiamo da una domanda: conviene continuare a produrre sempre di più, se si vende sempre uguale? Forse è meglio stampare meno, avere meno costi e meno resi e quindi veder crescere il fatturato”. Marco Zapparoli è l’editore di Marcos y Marcos e in tre anni ha ridotto da 29 a 19 le novità. “E poi abbiamo ripubblicato alcune proposte di qualità, con nuove traduzioni e nuova grafica. C’è da dire che la stampa digitale aiuta molto, perché si può ristampare velocemente e in numero giusto”. Nel 2024, il fatturato è aumentato dell’8%. Ma davvero i piccoli stampano troppo? Secondo i dati Istat 2023, in Italia si pubblicano in media 282 libri ogni giorno, 12 l’ora. Il 51,7% degli editori attivi sono “micro-editori” che realizzano ciascuno una tiratura annua non superiore a 5mila copie, il 39,4% “piccoli” con una tiratura massima di 100mila copie, il 6,5% “medi” che pubblicano non più di un milione di copie e solo il 2,4% sono classificati come “grandi” poiché la loro produzione annuale è superiore a un milione di copie. Nel 2024, i titoli che hanno venduto più di 2mila copie sono appena 3.254. Si è registrata una flessione addirittura nella vendita dei best seller: i primi 100 titoli, in termini di venduto, hanno perso 800mila copie, pari a 6,4 milioni di euro. E il problema non è solo Amazon, perché anche gli acquisti online hanno registrato una flessione di 26 milioni di euro. Certo, Amazon sta costringendo il mercato a ridurre il catalogo, e a farne le spese sono anche in questo caso i piccoli editori. Tra le case editrici che hanno venduto più di diecimila copie ci sono Mondadori, Newton Compton, Rizzoli, Einaudi, Feltrinelli, Sperling & Kupfer, Giunti, Panini Comics, Star Comics, Sellerio, Garzanti, Salani, Longanesi, Piemme, La nave di Teseo, Magazzini Salani, Libreria Pienogiorno, Electa, Nord, Solferino.
I conti sono presto fatti.