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 2025  febbraio 05 Mercoledì calendario

Due parole su Giampaolo Pansa

Caro Aldo, 
non passa giorno in cui il Corriere non rammenti attraverso le lettere e le storie dei lettori, le nefandezze del nazifascismo avvenute in Europa e in Italia. Si prova vergogna per quelle indicibili atrocità, ma spesso si fa fatica a parlare dei crimini commessi «dalla parte buona» in campo. Ad esempio, quando ricordiamo i nuclei familiari annientati durante la «nostra guerra civile», ci vengono in mente i sette fratelli Cervi e quasi mai altri sette fratelli, i Govoni. Mi rassicuri che non erano figli di un Dio minore. 
Emanuele Ferrera

Caro Emanuele,
certo che non erano figli di un Dio minore. Oltretutto i fratelli Govoni – Dino, Emo, Augusto, Ida, Marino, Giuseppe, Primo – vennero assassinati nel maggio 1945, a guerra finita. Fu un crimine privo di giustificazioni, che non ebbe nulla a che fare con la Resistenza, che non c’entra nulla con la lotta di liberazione. Gli assassini erano partigiani, che uccisero financo resistenti come Giacomo Malaguti, che aveva combattuto con gli angloamericani ed era pure stato ferito. Partigiani che hanno disonorato la parte con cui avevano combattuto; che era e resta la parte giusta.
Ma lei non mi sta chiedendo un giudizio – che non potrebbe essere diverso da un’assoluta condanna – su quella vicenda, bensì sulla memoria. Le rispondo così. Il 99 per cento dei giovani italiani non conosce né i fratelli Govoni, né i fratelli Cervi (in compenso sa tutto o quasi su Acca Larentia; ma questo è un altro discorso). Negli ultimi trent’anni si è parlato molto di più dei crimini dei partigiani che non dei crimini dei fascisti, ormai derubricati a «ragazzi di Salò», insomma giovani esuberanti e romantici. Intendiamoci: è giusto raccontare anche le pagine nere della Resistenza. Giampaolo Pansa ha fatto bene a scrivere i suoi libri, e milioni di italiani hanno fatto bene a leggerli. Pansa è stato per me un maestro e un amico. Non ho mai conosciuto un collega più scrupoloso di lui. Le cose che scrive Pansa nei suoi libri sono vere, e vanno conosciute. Con lui però ho discusso molte volte, in pubblico e in privato, spesso davanti alla donna che amava perdutamente, Adele Grisendi, di questo: il pubblico che giustamente leggeva i suoi libri sapeva poco o nulla di quello che i «ragazzi di Salò» avevano fatto, di cui peraltro lo stesso Pansa in passato aveva scritto. Ne vuole una prova, gentile signor Ferrera? Ieri ho raccontato la storia dei partigiani e dei renitenti alla leva impiccati agli alberi di Bassano. Da un lato mi ha incoraggiato ricevere molti messaggi di giovani addolorati e scandalizzati per quella storia. Dall’altro lato, ho la sensazione che sia una storia molto poco conosciuta.