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 2025  febbraio 05 Mercoledì calendario

Il monito di Mario Monti all’Europa

I n materia di conflitti politici con gli Stati Uniti, Mario Monti qualcosa sa: da commissario europeo alla Concorrenza, nel 2001 prese la decisione di bloccare la fusione fra i colossi americani General Electric e Honeywell. In seguito guidò l’indagine che portò a una multa da 497 milioni di euro a Microsoft per abuso di posizione dominante. In entrambi i casi, il presidente in persona, il repubblicano George W. Bush aveva diffidato pubblicamente Bruxelles dall’intervenire. Eppure in entrambi i casi finì per accettare le decisioni, confermate dalla Corte di giustizia europea. 
Senatore Monti, Donald Trump adesso avrà lo stesso rispetto per le istituzioni e gli equilibri dell’Unione europea? 
«Adesso per l’Unione diventa particolarmente importante attestarsi su un metodo di governo che torni molto di più ai poteri comunitari – risponde l’ex presidente del Consiglio —. A maggior ragione in questa fase di debolezza di alcuni dei principali governi, dare forza alle istituzioni di Bruxelles dovrebbe servire per realizzare – fra l’altro – quanto propongono Enrico Letta e Mario Draghi nei loro rapporti». 
Ciò che serve all’Europa è chiaro da decenni. Perché non si è fatto prima e ora ci troviamo in posizione di debolezza di fronte a Trump? 
«Gli ostacoli sono i nazionalismi, non lo scopriamo certo adesso. Ma adesso diventa essenziale prevenire qualunque tentativo degli Stati membri – o qualunque tentativo dall’esterno – di disgregare la politica commerciale europea, che è una delle poche funzioni di governo che è stata davvero messa in comune dall’Unione». 
Teme che la Casa Bianca, con le sue politiche dei dazi, rifiuti di riconoscere la Commissione di Bruxelles quale interlocutore in nome dei Paesi europei? 
«Il rischio maggiore è che l’Europa prenda paura. Non dobbiamo. Per quanto riguarda l’Europa, Trump sembra incarnare il Caligola dell’“oderint dum metuant”: mi odino pure, purché mi temano. Ma non dobbiamo temerlo, perché abbiamo gli strumenti». 
A quali strumenti pensa in particolare? 
«Non ripetiamo gli errori commessi quando Joe Biden avviò il suo Inflation Reduction Act con i grandi sussidi che conteneva. Non rinunciamo a un mercato unico europeo con un controllo centralizzato degli aiuti di Stato e dell’antitrust. Ed evitiamo di dare alle lobby europee degli industriali troppo potere, al di là delle espressioni legittime dei loro interessi: chiederanno sempre di attenuare le regole di concorrenza. Possiamo invece intensificare i modi di governo che esprimono l’Europa. L’amministrazione Trump sarà costretta a prenderli sul serio». 
Vuole dire, evitiamo la tentazione del ciascuno si salvi da solo? 
«Sì. Occorre un’Europa che governi con gli strumenti che ha». 
Ma se Trump non parla a Ursula von der Leyen, è bene che Meloni tenga rapporti per conto dell’Unione europea? 
«No. È bene che la presidente del Consiglio se può parlare parli, ma non deve dare a Trump l’idea che può evitare di parlare con Ursula von der Leyen. Meloni dovrebbe rifiutarsi di fare da sostituto. Se ammettiamo che parlare con Bruxelles diventi facoltativo, per l’Unione europea sarebbe un po’ la fine. Per questo bisogna far leva là dove Bruxelles ha i poteri più diretti ed effettivi». 
Non sarebbe utile, se Meloni facesse da ponte fra Stati Uniti e Europa?
«Meloni non troverà facile fare da ponte, anche se volesse. Il ponte, inteso come dialogo, è utile. Ma se si tratta di arrivare ad accordi separati, temo che non riuscirà. E questa è l’occasione in cui gli altri europei faranno sul serio nei confronti dei dissidenti, se ce ne saranno». 
Senatore, non siamo a questo punto ed è soltanto un’ipotesi: ma perché non cercare vantaggi per l’Italia nello scenario di una guerra commerciale degli Stati Uniti all’Europa, se Meloni ha un buon rapporto con Donald Trump? 
«Certamente la sua è una bella obiezione. È giusto che Meloni eserciti la sua influenza su Trump, se ne ha. Tenendo presente però che se venisse intaccata di diritto o di fatto la competenza della Commissione sul commercio estero, il piccolo vantaggio che avremmo ottenuto – chessò – sul parmigiano sparirebbe». 
Sparirebbe? 
«Andremmo allo sbaraglio sul resto. Il divide et impera nel medio fa perdere tutti e in particolare i meno forti. Può riempire di orgoglio da talk show, ma tutto si ferma qui». 
Ci sono aspetti sui quali ritiene sia essenziale per l’Europa tenere il punto? 
«Non essere minimamente inclini ad attenuare le regole sulla concorrenza in genere e in particolare sul digitale. Se ci dividiamo su quello, se finiamo con 27 piccole autorità antitrust nazionali, saremmo debolissimi». 
Che cosa intende dire? 
«Ha visto chi è stato appena nominato alla testa della Competition and Markets Authority del Regno Unito? Doug Gurr, ex country manager di Amazon nel Paese ed ex presidente di Amazon China». 
Teme che il presidente Trump dilaghi con i suoi oligarchi tecnologici? 
«In realtà vedo una grande debolezza in tutta la costruzione di Trump. Il presidente sta lanciando una serie di boomerang, molti dei quali gli torneranno indietro provocando effetti forse più negativi per gli Stati Uniti che per l’Europa stessa. Rischia di essere il Terminator della secolare costruzione di un capitalismo moderno che prima si è affermato negli Stati Uniti e poi, con successo, in tutto il mondo». 
Lei conosce l’obiezione: l’economia americana va a mille, è l’Europa che è ferma. 
«Ma in America rischiano di sgretolarsi i pilastri del capitalismo, fondato su almeno un certo grado di separazione fra politica e business. Con varie intonazioni differenti con i diversi presidenti, questa separazione è stata una costante. Qui vediamo invece che ci si sta apprestando a sgretolare i pilastri del capitalismo americano. Vediamo non solo e non tanto le pressioni delle lobby, ma l’ingresso delle persone più forti del mondo del business nell’esecutivo e nelle sue decisioni. Queste figure sono per loro natura monopoliste e tenderanno a ledere l’ambiente economico per tutti gli altri. Osservo, di passaggio, che lo Stato dell’Ontario in Canada si appresta a disdire il contratto del valore di 100 milioni di dollari canadesi che ha in essere con la Starlink di Elon Musk. E questo spero che in Italia venga notato». 
Lei che lezione ne trae? 
«Che l’attuale amministrazione americana rischia di passare da una postura deliberatamente un po’ isolazionista, a una postura isolazionista perché gli altri Paesi le creano il mare intorno».