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 2025  gennaio 26 Domenica calendario

Casorati e il silenzio

Nel tempo dell’arte gridata, dell’arte-spettacolo, dell’arte che vuole far parlare di sé a tutti costi (spesso più a colpi di polemiche che di contenuti) una mostra su Felice Casorati, che (al pari di quella su Vilhelm Hammershøi che si inaugura il 22 febbraio al Palazzo Roverella di Rovigo) invita piuttosto a scoprire tutta la bellezza della «pittura del silenzio», potrebbe apparire come qualcosa di anacronistico, fuori dal tempo. La mostra (curata da Giorgina Bertolino, Fernando Mazzocca e Francesco Poli) che si inaugura il 15 febbraio al Palazzo Reale di Milano propone una rilettura complessiva del lavoro di Casorati (1883-1963) mettendo in scena (un po’ come aveva fatto in teatro negli anni Settanta la Compagnia dei Giovani con Il giuoco delle parti di Luigi Pirandello, evidentemente ispirato proprio a Casorati) tutta la modernità, l’attualità e (forse) la necessità sempre più impellente di silenzio.

Quella di Casorati, spiegano i curatori, è una pittura sospesa nel tempo, legata al contesto artistico in cui nasce, ma anche «autonoma»; una pittura che privilegia lo spazio e i gesti — semplici, eloquenti, immediati — rispetto alle figure umane. Un atteggiamento che accompagna Casorati (che prima di diventare pittore aveva studiato musica) lungo tutto il suo percorso, anche al di fuori della pittura, nelle sculture, nei disegni, nelle opere grafiche, nei bozzetti delle scenografie per la Scala: Le vecchie (1909), Bambine sul prato (1909), Le ereditiere (1910), Le signorine (1912), Maschera nera (1914), Marionette (1914), Ritratto di Maria Anna De Lisi (1919), Le uova sul cassettone (1920), La donna e l’armatura (1921), Silvana Cenni (1922), Meriggio (1923), Concerto (1924), Beethoven (1928), Daphne a Pavarolo (1934), Donna con manto (1935), Eclissi di luna (1949).

Casorati, dopo la rottura con la figurazione operata dalle Avanguardie nei primi decenni del secolo, recupera di fatto la rappresentazione della realtà guardando ai maestri del passato: Giotto, Masaccio, Piero della Francesca della Pala di Montefeltro (1472 circa) oggi alla Pinacoteca di Brera (dove sopra la testa della Madonna compare un uovo, soggetto più volte frequentato da Casorati nelle sue nature morte). Come accade con de Chirico, spiegano i curatori, il pittore attualizza la classicità trasportandola in una dimensione senza tempo, illuminandola con una luce irreale, avvolgendola in un silenzio impenetrabile. Un silenzio che, come nella Conversazione platonica del 1925, parte da un’impostazione «antica» (quella di Susanna e i vecchioni di Rubens, Artemisia Gentileschi, Sebastiano Ricci) per arricchirla con una nuova sensualità solo all’apparenza fredda ma in realtà carica di allusioni. Un silenzio modernissimo che avvicina Casorati alla pittura di Gustav Klimt (modello evidente nell’opera che apre il percorso, il Ritratto della sorella Elvira del 1907), ai drammi di Massimo Bontempelli, al cinema del Michelangelo Antonioni dell’Avventura, alle dilatazioni pittoriche di Domenico Gnoli.

Dipinto simbolo di un’antologica che riporta Casorati a Milano 36 anni dopo l’ultima mostra (mettendo in luce anche il profondo legame dell’artista con la città) è sicuramente l’Annunciazione del 1927, proveniente da una collezione privata: scelto dall’artista per le esposizioni d’arte italiana del 1927 al Musée Rath di Ginevra e poi alla Kunsthaus di Zurigo, torna finalmente visibile. «Nell’atmosfera rarefatta e sospesa di un interno — spiegano i curatori — Casorati costruisce una scena intima in cui il divino traspare dalla specularità e dalle simmetrie attraverso l’inconciliabilità degli opposti: la luce naturalissima e la geometria

Ritratto della sorella Elvira.

pianista scenografo

complessa ed enigmatica dello spazio. Reinserito per la prima volta in un’antologica, il dipinto segna un episodio essenziale entro l’arco dell’itinerario casoratiano». Per la prima volta dal 1964 vengono poi accostati in una sorta di «trittico ideale» tre dipinti «caratterizzati da una dimensione spaziale nuda e desolata e un senso metafisico di inquietante solitudine»: Una donna (o l’Attesa, 19181919), Un uomo (o Uomo delle botti, 19191920) e Bambina (o Ragazza con scodella, 1919), questi ultimi due dalla Galleria civica d’Arte moderna e contemporanea di Torino che ospita la più ampia collezione museale di opere di Casorati.

Nelle 14 stanze della mostra l’affascinante inquietudine suggerita da dipinti e sculture si intreccia con le storie (molto umane) delle tante vite legate a quella di Casorati. Come quella di Riccardo Gualino (1879-1964), collezionista, mecenate e imprenditore, per il quale l’artista dipinge i ritratti di famiglia e progetta, insieme all’architetto Alberto Sartoris (1901-1988), il piccolo teatro privato nella loro residenza torinese. Il sodalizio è ricostruito dai tre ritratti dei Gualino: quello di Riccardo, della moglie Cesarina Gurgo Salice (1890-1992) e del figlio Renato. Oltre che dai ritratti di Alfredo Casella (1883-1947), compositore e pianista, direttore di molti concerti nel teatrino torinese, e delle danzatrici Raja e Bella Markman, protagoniste con Cesarina Gualino delle esibizioni di danza libera sotto i fregi casoratiani del teatrino documentati dai bassorilievi (del 1924) Donna con arco, L’incontro con la musica, Donna seduta con scodella.

Da sempre amante della musica, Felice Casorati non fu solo un eccezionale pittore e un appassionato pianista ma anche scenografo, al lavoro, tra gli anni Trenta e i Cinquanta, per il Maggio musicale fiorentino, l’Opera di Roma e la Scala di Milano. Proprio dagli Archivi storici della Scala provengono numerosi bozzetti, realizzati per opere come Le baccanti e Fidelio, o per balletti su musiche di Petrassi o de Falla: un nucleo che a chiusura della mostra «consentirà di conoscere anche questo versante dell’attività di un artista rigoroso e poliedrico».

Quel che resta oggi di Casorati è racchiuso nel motto che lo stesso artista aveva scelto per la sua pittura: «Numerus, Mensura, Pondus» ovvero dipingere è prima di tutto «dare numero, misura e peso» alla realtà e alle bellezza. Senza eccessi, senza esagerazioni «devo ricercare i miei tipi, i miei colori, gli ambienti e le cose — scriveva in una lettera del 7 aprile 1911 a Tersilla Guadagnini —, soprattutto le cose, gli oggetti più umili che prima lasciavano indifferenti non solo il mio senso d’artista, ma pur anche il mio sguardo, ora mi affascinano con il muto linguaggio, con l’espressione intensa di gioia o di dolore che da essi emana! Quanta poesia nelle cose immobili». E quanta poesia nel silenzio. E non soltanto nel silenzio di Casorati.