Il Messaggero, 3 febbraio 2025
Biografia di Olly
A 15 anni pesava 111 kg e non si piaceva. Giocava a rugby, finché un’ernia del disco non lo ha costretto a rinunciare a quella passione. In Polvere, la canzone che due anni fa presentò in gara al Festival di Sanremo dopo la promozione da giovani a big (si classificò ventiquattresimo su ventotto partecipanti), cantava quel periodo difficile della sua vita: «Mi crogiolavo nella tristezza e nella solitudine». Oggi Olly, vero nome Federico Olivieri, classe 2001, ha un altro peso addosso: quello del successo. E delle aspettative.
Il 23enne cantautore genovese torna in gara al Festival, sulla scia dei trionfi straordinari di questi mesi. Nell’ultimo anno ha vinto otto Dischi d’oro e sette Dischi di platino con l’album Tutta vita (uscito a ottobre), il singolo Devastante e il duetto con Angelina Mango su Per due come noi. Le 26 date del tour nei club Lo rifarò, lo rifaremo, sono tutte sold out: dopo il primo giro di concerti di quest’inverno, tornerà a girare l’Italia a maggio (passerà all’Atlantico di Roma il 13 e il 14). Ed è tutto esaurito anche per il Tutta vita tour 2025 nei palazzetti, al via il 4 ottobre dalla sua Genova (a Roma il 15 ottobre, al Palazzo dello Sport): viste le richieste, ha dovuto già annunciare nuovi show nei palasport per il 2026 (ripasserà a Roma il 26 marzo).
È la rivincita di un cantautore che con una manciata di buone canzoni e la testa sulle spalle si è preso il nuovo pop italiano sulle spalle. All’Ariston dall’11 al 15 febbraio canterà Balorda nostalgia e gli scommettitori lo danno per favoritissimo, insieme a Giorgia: «Ma io faccio gli scongiuri. L’importante è rimanere lucidi».
E come ci riesce?
«Vivo tutto con distacco. Mi sono creato una bolla: dentro ci sono solo io con i miei collaboratori. Finché non si canta su quel palco, c’è poco da parlare».
Aveva giurato che non sarebbe tornato al Festival. Cosa le ha fatto cambiare idea?
«La canzone. È nata mentre chiudevo il disco, di cui rappresenta la chiave di volta. È una ballata in cui racconto una storia finita».
Lei la sente ancora?
«Non più. Il pezzo non l’ha ascoltato: lo farà direttamente l’11, quando la canterò per la prima volta sul palco dell’Ariston».
"Ma come te lo devo dire / sta vita non è vita senza te”, canta. Si farà viva?
«Vediamo. Non è importante. Il mio l’ho fatto, con questa canzone».
Negli ultimi mesi sembra essere cresciuto più che negli ultimi anni: come se lo spiega?
«È frutto di un percorso di anni. L’ultimo anno e mezzo è stato frustrante. Non mi sentivo capito dalle persone che avevo intorno».
Parla dei discografici?
«No. Le mie avversità e le difficoltà che ho nel relazionarmi con quel mondo sono dettate dai tempi e da alcune dinamiche che mi fanno rendere conto di essere una parte di un grande ingranaggio».
"La fabbrica di plastica”, per citare Gianluca Grignani.
«Ci andrei piano con le definizioni. Anche perché ci sono tanti ragazzi che non portano plastica. Come me. Io sono un prodotto organico: nella mia musica c’è sostanza. Voglio fare le cose prendendomi i miei tempi, dettando io i ritmi. Senza aver paura di non esserci, perché non esserci permette di esserci di più quando non ci si è davvero».
E quindi se non parlava dei discografici, di chi parlava?
«Mi è mancato un team come quello che ho oggi: è una squadra strutturata, fatta di professionisti ma anche amici che mi conoscono da sempre e che mi ricordano da dove vengo. Quando sono saturo, me ne torno nella mia Genova: ritrovo me stesso e capisco che i problemi di Milano, sono problemi di Milano. A Sanremo, a proposito, nella serata delle cover canterò Il pescatore di Fabrizio De Andrè, insieme al grande Goran Bregovic: la faccio sempre durante i miei concerti».
Sa che la sua manager, Marta Donà, ha vinto il Festival quattro volte (nel 2013 e nel 2023 con Marco Mengoni; nel 2021 con i Maneskin; nel 2024 con Angelina Mango)?
«Anche qui faccio gli scongiuri (ride). Io non penso a vincere. Questa attenzione nei miei confronti è figlia dei successi di questi mesi, ma io non voglio essere una meteora: ce ne sono state tante, nella musica italiana».
Il segreto del successo l’ha capito o no?
«Racconto emozioni semplici. Insieme al mio produttore Jvli (vero nome Julien Boverod, ndr) non cerchiamo la hit».
Lei è laureato in economia e management d’impresa, non è vero?
«Sì, con 101. Infatti mi sono tatuato un dalmata».
In marketing come è messo?
«All’esame presi 26».
Olly è il successo di una campagna di anti-marketing?
«Mi lusinga. Io sono un ragazzo normale, con problemi normali, che parla di vita normale e non si prende troppo sul serio. Non vendo l’acqua calda e non pontifico».
Una pausa l’ha pianificata?
«Sì. Dopo il tour nei palasport del 2026 vorrei andarmene in Bolivia. Spero di trovare una persona con la quale condividere il viaggio».