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 2025  febbraio 03 Lunedì calendario

Tremonti dice che serve una nuova Bretton Woods

Adesso, dopo Canada, Messico e Cina, tocca all’Europa fronteggiare il ciclone dazi. Come siamo messi, Giulio Tremonti, secondo lei?
«Il 29 gennaio, per reazione, la Commissione ha annunciato al mondo la Kompass Ue, ossia ha detto che l’Europa dopo non averla avuta per vent’anni ha trovato finalmente la bussola. In attesa di conoscere questa bussola, che tuttavia è sviluppata su alcuni pilastri (cinque abilitatori, due goal, tre imperativi, cinque punti cardinali, varie flagship, un commissario a tempo pieno ma per la verità operativo appena due volte all’anno e un ventottesimo Stato da aggiungere ai ventisette), sempre il 29 del mese scorso sulla Gazzetta ufficiale europea è stata pubblicata la normativa sull’uso dei formulari per gli strumenti musicali e sulle viti senza capocchia. E appena qualche giorno prima, sono apparse le regole sulla polvere di larve intere di tenebrio molitor, sull’omologazione dello sterzo dei veicoli, sull’armonizzazione delle regole per le lavatrici ad uso domestico e per le lavasciuga della biancheria». 
Sta dicendo che il mondo, Trump e non Trump, sta cambiando e noi siamo dei sonnambuli, dei dormiglioni e degli inconsapevoli gonfi di spocchia? 
«Sto dicendo quello che dico e aggiungo che, volendo, si può andare indietro più o meno per un milione e duecentomila pagine simili, quanto sono quelle che sono state pubblicate nel corso degli anni di vita della Gazzetta ufficiale europea». 
Insomma, abbiamo già perso da soli, indipendentemente da tutto? 
«La base per vincere sta anzitutto in una richiesta e poi in una domanda. La richiesta è quella del mea culpa. La soluzione ce la dà Einstein. Ed è questa: non affidare la soluzione dei problemi a chi li ha causati. Le aggiungo un particolare. Il grido corale fatto l’altro giorno da von der Leyen e Lagarde vuol dire, insieme alla ricerca della bussola, che è mancata dopo la crisi del 2008 anche la bussola monetaria». 
In ogni caso, Trump è convinto che l’economia possa fare a meno degli alleati e applica la legge del più forte. È così? 
«I dazi possono avere, molto semplificando, una funzione di polizia, una di geopolitica e una di economia. Quella di polizia è dazi per bloccare i flussi della droga e i cartelli criminali delle migrazioni. Ed è quella che si sta cominciando a usare contro alcuni Stati e ciò ricorda quello che la Cina non ha potuto fare ai tempi della guerra dell’oppio nell’800». 
La funzione geopolitica? 
«È quella per affermare la potenza. Quanto alla funzione economica, è troppo presto per valutare quello che sta accadendo. L’elemento di novità è che le economie sono già profondamente integrate. Non era così nell’800 e neppure nel 900. E quindi i dazi possono anche produrre effetti asimmetrici o effetti boomerang. Dal lato dell’Europa, dazi che graziano il parmigiano ma colpiscono l’auto tedesca incidono ancora di più sull’Italia. L’effetto boomerang può arrivare anche in America, perché una quota larga dell’industria europea è posseduta dall’America». 
Insomma l’America rischia di danneggiare se stessa? 
«È qualcosa che va messa in conto. C’è una riflessione politica da fare. Forse è necessario andare indietro al principio della globalizzazione. Nel 94, mentre la globalizzazione era al suo principio, ho scritto un libro intitolato “Il fantasma della povertà”. Prevedevo che i capitali sarebbero andati in Asia alla ricerca di manodopera a basso costo, ma l’Occidente avrebbe importato povertà, a partire dalla classe operaia». 
Questo è accaduto e questo spiega l’esito che avrebbero avuto le ultime elezioni americane? 
«Furono inventati i subprime, per compensare la perdita dei lavoratori con un po’ di finanza sui mutui. E i subprime generarono la crisi globale. All’origine di una quota del voto per Trump c’è non solo la nostalgia per le vecchie industrie, ma anche la sofferenza per quanto patito ad opera dei globalisti». 
Trump verrà, come si dice, a patti con la realtà sui dazi e su tutto il resto? 
«Io credo, per l’esperienza politica che ho, che la realtà la fa la realtà e la realtà è in corso». 
Qual è la novità in questa realtà? Lei ha intitolato il suo ultimo libro, per l’editore Solferino, «Pace o guerra». La realtà è che si rischia di avere sempre di più guerre? 
«Se posso, la prendo un po’ alla lontana. Al principio di questo millennio, viviamo un tempo simile a quello vissuto alla metà dell’altro millennio, nel 500. Quando avvennero o erano appena avvenuti quattro fatti rivoluzionari. La scoperta dell’America, l’invenzione della stampa, la prima crisi finanziaria e l’invasione musulmana da est. Oggi è lo stesso: la scoperta della Cina, la rete, il rischio della finanza e poi, dall’Ucraina al Mar Rosso, la guerra ancora da est. Nel 500, gli effetti furono diffusi lungo un intero secolo. Gli stessi, oggi, sono concentrati in trent’anni, dal principio alla fine della globalizzazione. Nel 500, uscì un libro intitolato “Mondus furiosus”, e nel 2017 ho usato questo stesso titolo per un mio saggio, avvertendo il caos che stava arrivando». 
Il caos produrrà altra guerra o finalmente nuova pace? 
«Ora è cominciata la guerra dei dazi. Ricordo un detto dell’800: i confini non attraversati dalle merci sono attraversati dagli eserciti. Un modo per evitarlo è rifare un accordo globale, come quello che fu fatto nel 1944 a Bretton Woods». 
La novità di questi ultimi tempi è anche che si è passati dalla globalizzazione al de-globalizzazione?
«La globalizzazione è finita come utopia politica. Ma il mondo resta globale. Sia in termini materiali sia in termini immateriali. Materiali evidenti nell’ingorgo dei container negli oceani. Immateriali con il digito ergo sum e con il fatto che tutti navigano sulla rete come un tempo pochi navigavano sulle onde degli oceani. In questa dimensione si sviluppa, tra l’altro, la cosiddetta intelligenza artificiale». 
Ne ha paura anche lei? 
«Questo non è un caso in cui l’aggettivo cancella il sostantivo. Ma molto di quello che si pensa e si dice è esagerato o sovradimensionato. In ogni caso, una prima criticità, non “logica”, è nel fatto che la cosiddetta AI ha creato una sua sorella: la finanza artificiale. Trump annuncia 500 miliardi di investimenti sulla AI, la Cina arriva con un’applicazione da 5 milioni che subito dopo fa perdere a Wall Street 600 miliardi bucando la bolla. Segno che le bolle finanziarie non sono mai un problema finché non lo diventano». 
Sarà anche una bolla ma per l’Europa si dice che occorrono da 750 a 800 miliardi per rianimarla. Lei che cosa risponde? 
«Si dice che questi soldi non servono soltanto per un anno ma per svariati anni. E la somma, anno per anno, viene a cubare una cifra iperbolica. Senza contare, e chiaramente lo si dice, che la parte del leone la deve fare il risparmio privato. Così che i depositi si trasformano in capitali di rischio con l’effetto di un rischio sul capitale».
I risparmiatori diventano le vittime?
«Dica a quelli che credono di aver trovato la bussola di non fare tanti calcoli ma piuttosto poche regole».