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 2025  febbraio 02 Domenica calendario

Francois Ozon parla del suo nuovo film

Sotto le foglie è il ciclo dell’esistenza secondo François Ozon. Nella Borgogna boscosa della sua infanzia, il prolifico autore, 57 anni, torna a raccontare la fine della vita, in una storia alla Simenon. Un’anziana donna, che si è ritirata in campagna, attende con ansia l’arrivo di figlia e nipote, prepara loro un piatto di funghi selvaggi, avvelenando per errore la giovane donna, che già non le perdonava il discutibile passato. Il dolce autunno dell’anziana, dopo l’allontanamento del nipote, si trasforma in un declino inarrestabile. L’incontro con Ozon è ai parigini Rendez-Vous, agli Champs- Èlysées.
Il film sarà presentato all’omologa rassegna del cinema francese a Roma (dal 2 al 6 aprile, in sala il 10 con Bim).
Quanto è personale questo film?
«Sono partito da un ricordo dell’infanzia. C’era una prozia che amavo molto e che una volta organizzò una cena, raccogliendo funghi per l’occasione. Tutta la famiglia si sentì male, alcuni finirono in ospedale, intossicati. Tranne lei, che non li aveva mangiati. Da bambino trovavo divertente che la mia prozia “preferita” avesse quasi ucciso tutta la famiglia».
È cambiato nel tempo il suo atteggiamento verso la morte?
«Sì, è un argomento in continua evoluzione. Non siamo mai gli stessi, anno dopo anno. Stavolta per me era importante mostrare che a volte è più facile parlare con un fantasma che con una persona reale. Madre e figlia, qui, non sono in grado di comunicare o di essere presenti l’una per l’altra. È una relazione tossica. Spesso si capisce davvero qualcuno solo dopo che non c’è più».
Ha fatto ricerche sul rapporto tra persone con un passato nella prostituzione e i loro figli?
«Sì. Ho letto diversi articoli sulla difficoltà dei bambini nel crescere con una madre che si è prostituita. Ci sono reazioni diverse: alcuni figli rifiutano del tutto la madre, altri riescono a empatizzare, costruendo una relazione più profonda».
Le protagoniste sono attrici formidabili.
«Sono inorridito dalla rapidità con cui le persone anziane stanno scomparendo dalla vista, nella vita e sullo schermo. Volevo mostrare una donna ancora piena di desiderio e di vita, che non avesse paura di mostrare la sua età. Niente chirurgia plastica: volevo volti veri, rughe vere. Hélène Vincent e Josiane Balasko avevano l’autenticità che cercavo».
Ritrova anche Ludivine Sagnier.
«Ha iniziato la sua carriera con me. Abbiamo fatto tre film in quattro o cinque anni, ma poi non abbiamo lavorato insieme i venti successivi. Da regista è stato commovente ritrovare la ventenne in bikini di Swimming pool, e vederla in un ruolo legato alla sua età attuale. Ha letto la sceneggiatura e detto “non è la donna più adorabile del mondo”, ma si è fidata. È bello interpretare qualcuno che odi».
Si può invecchiare con serenità?
«Non sono ancora arrivato a pensare alla mia vecchiaia. Ma mi piace l’idea che la vita sia non finita, anche durante l’autunno. I funghi sono un simbolo interessante, possono essere sia pericolosi che deliziosi».
Cambia sempre film, tono, tema.
«Seguo l’istinto. Spesso dopo un film con un grande budget, a esempio, mi piace passare a qualcosa di più intimo. Non ho mai voluto ripetermi. François Truffaut diceva: “Devi fare il nuovo film contro quello che hai appena finito”. Dopo le giovani attrici della commedia Mon crime, volevo due anziane e un tono drammatico».
Ha citato Truffaut. Crede che ci sia una relazione tra voi?
«Sì, forse. A esempio quell’alternare grandi film a piccoli progetti. Ma non vorrei morire giovane come lui».
Il prossimo film?
«Le dico solo che il protagonista sarà maschio».
È difficile trovare i finanziamenti?
«A volte sì, dipende dal progetto. Sotto la sabbia fu un incubo: nessuno voleva finanziarlo, ripetevano che Charlotte Rampling era fuori moda. Ma per fortuna ormai ho un certo credito ed era un film poco costoso».
È vero che se ha dubbi su un film cerca la soluzione nei sogni?
«Sì, quando ho un problema in una scena, inizio a dormirci insieme. E spesso, al risveglio, ho la soluzione».
Ha pensato di chiedere aiuto all’intelligenza artificiale?
«È buffo che me lo chieda. Ci ho provato proprio per questo film, per curiosità. Avevo già in mente la scena finale ma non sapevo se ambientarla in un bosco o in un ristorante. E così ho parlato a Chatgpt di questo rapporto tra madre e figlia e i funghi tra loro. Come posso finirla? Mi è stato proposto un finale disneyano, con madre e figlia riconciliate che mangiano funghi insieme...».
Sogna mai i suoi vecchi film?
«Sì, a volte non riconosco che sono i miei e ogni tanto penso che siano meglio altre che siano molto peggio».
Quali sono i suoi titoli che il pubblico ricorda di più?
«I giovani spesso mi parlano di Otto donne e un mistero o di Grazie a Dio, perché ha avuto un enorme successo in Francia. Ancora mi scrivono in tanti le proprie storie di molestie subite da uomini di Chiesa, o mi suggeriscono libri su questo argomento da adattare al cinema. Ma io non sono uno specialista della materia, ho solo fatto un film».
“Emilia Pérez” marcia verso l’Oscar. Cosa pensa del successo del cinema francese all’estero?
«Sono molto contento per il cinema francese, ma il film di Audiard è girato in spagnolo. E il buon momento riguarda un paio di titoli su centinaia di film prodotti. Il mercato americano è molto difficile da penetrare. Mi piace pensare che il successo di uno aiuti anche gli altri».
Mai stato tentato da Hollywood?
«Ho ricevuto molte proposte, ma lì il padrone è il produttore e il regista è solo un impiegato, non ha il controllo finale. Qui in Francia ho tutta la libertà che desidero. Non cerco grandi budget. E alcune star sono disposte a venire in Francia, come Demi Moore per The substance».
Con quale star le piacerebbe lavorare?
«Ce ne sono molte, ma sono morte. Natalie Wood, Elizabeth Taylor, James Dean, Montgomery Clift…».