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 2025  febbraio 02 Domenica calendario

Biografia di Elvira Notari, prima regista donna in Italia

«Simm ’e Napule e avimm ’a fa’ ’o cinema dei napulitani». Questa frase di Elvira Notari forse se l’è immaginata Flavia Amabile (autrice di un appassionante romanzo, Elvira, edito da Einaudi Stile libero nel 2022) ma sintetizza perfettamente lo spirito e la determinazione di quella che ormai tutti riconoscono come la prima regista del cinema italiano, attiva sessant’anni prima di Lina Wertmüller e cento di Alice Rohrwacher: Elvira Coda, nata il 10 febbraio 1875 a Salerno, che sarebbe diventata Notari nel 1902 sposando il fotografo Nicola, ex pittore specializzato nella coloritura delle pellicole appassionato di cinema. 
Proprio il 10 febbraio, al Multicinema Modernissimo di Napoli si apriranno i festeggiamenti per Elvira 150 che Parallelo 41 Produzioni ha organizzato insieme al Comune di Napoli, per vedere tutto quello che si è salvato ed è stato restaurato della numerosissima produzione della Notari (che ben presto lasciò al marito il compito di filmare, tenendo per sé quello di vera autrice dei film): si inizia con È piccerella (1922) a cui seguiranno tra febbraio e aprile, in altre sedi della città, dalla Sala Assoli al Conservatorio San Pietro a Majella, gli altri unici titoli sopravvissuti della sessantina di lungometraggi che diresse — ’A santanotte (1922) e Fantasia ’e surdate(1927) – e quello che è rimasto dei duecento e più cortometraggi che realizzò, oltre a una scelta di titoli prodotti negli stessi anni dalla vivacissima Napoli cinematografica d’inizio Novecento. 
Ma l’importanza della figura della Notari (a cui il 10 marzo sarà anche dedicato un convegno all’università Federico II e che sarà la protagonista del documentario Elvira Notari, oltre il silenzio, diretto da Valerio Ciriaci e prodotto da Antonella Di Nocera, con Teresa Saponangelo) non è solo quella di una pioniera del cinema; è quella di una regista a figura intera, come hanno dimostrato gli studi fondativi di Enza Troianelli e Giuliana Bruno, perché ha anticipato e difeso un’idea di cinema realistico (per non dire neorealistico) ben conscia dei suoi valori sociali e della sua valenza politica. Quando dice che «avimm ’a fa’ ’o cinema dei napulitani» Elvira sa benissimo quello che intende: portare sullo schermo la vera vita di Napoli e dei suoi abitanti, facendola interpretare da veri napoletani – spesso scugnizzi presi dalla strada – senza sentire il dovere di edulcorare o snaturare la crudezza delle storie raccontate. Dove naturalmente la presenza delle donne assume sempre un ruolo centrale.

Dopo aver frequentato la scuola «normale» (cioè la scuola magistrale) e aver anche insegnato, si trasferisce nel 1902 a Napoli a lavorare come modista. Ma l’incontro con Nicola Notari cambia il corso della sua vita: con lui fonda la Films Dora, poi diventata Dora Film, dando inizio a una remunerativa produzione di film corti e cortissimi che sfruttavano anche il neonato figlio Edoardo per una serie di brevissimi sketch, girati tra il 1906 e il 1911 e pensati per gratificare la curiosità del pubblico dei primi cinematografi (i cui titoli non hanno paura dello spoiler: Bebé vi saluta, Bebé in giardino, Bebé va a letto, La preghiera di Bebé, Bebé in salotto e poi Scugnizzo napoletano, La campagnuola, Tarantella, Musica ’a ballo, Valzer d’amore, Coscritto). Il cui successo spinge i coniugi Notari verso temi più «ambiziosi» (L’accalappiacani, 1909; Il processo Cuocolo, 1909; La corazzata San Giorgio, 1911; Caratteristica guerra italo-turca tra i nostri scugnizzi napoletani, 1912, dove l’utilizzo di veri scugnizzi indica chiaramente l’ambizione di creare un’epica cinematografica legata ai ragazzi di strada). Ma con i film cresce anche l’ambizione di Elvira, che a partire da La fuga del gatto (1910) firma in prima persona sceneggiatura, regia e montaggio dei suoi film. 
L’idea per le storie viene spesso dai romanzi d’appendice in voga allora di Francesco Mastriani, Davide Galdi, Carolina Invernizio, o dalle canzoni di Salvatore Gambardella, Pacifico Vento, Libero Bovio, Francesco Paolo Tosti, Cesare Andrea Bixio, E. A. Mario. Sono storie spesso melodrammatiche quando non direttamente drammatiche, ispirate anche alla cronaca nera, distantissime dal verosimile borghese che inseguono i film di altri registi. Mentre l’ambientazione spesso naturale, dove i vicoli di Napoli si trasformano in teatri di posa a cielo aperto, fa superare la tradizione folcloristica del teatro contemporaneo per aprire i film verso inaspettati squarci veristi. Così per esempio ’E scugnizze (sfortunatamente perduto) inizia come il più tradizionale dei melodrammi: il nobile Paolo si innamora della popolana Maria e la mette incinta, ma Donna Eleonora, la madre di Paolo, fa rapire Maria per segregarla in una catapecchia mentre il figlioletto viene abbandonato sotto i portici di un convento. Ma a questo punto, Elvira si inventa la caduta nella follia di Maria che viene rinchiusa in un manicomio per mostrare il tragico destino delle donne che vi sono segregate. Scatenando le ire della censura che impose di tagliare molte scene. 
Inevitabile che il fascismo non amasse i suoi lavori, arrivando a pubblicare un decreto nel 1928 contro i film che hanno per soggetto «scene di ambienti napoletani che, se non ancora scomparse dalla vita di quella città, non rappresentano più la caratteristica di quella popolazione» perché «film a base di posteggiatori, pezzenti, scugnizzi, di vicoli sporchi, di stracci e di gente dedita al “dolce far niente” sono una calunnia per una popolazione che pur lavora e cerca di elevarsi nel tono di vita sociale e materiale che il Regime imprime al Paese». Alla Dora Film restavano solo i documentari commissionati dagli immigrati che volevano rivedere le piazze e le feste dei propri paesi, ma Elvira non era donna da compromessi: «Se devo trovare un aggettivo che la definisca – ci ha detto Flavia Amabile – quello è “coerenza”, una profonda, indistruttibile coerenza per la sua idea di cinema convintamente popolare. A cui aveva dedicato tutta la vita». E che la spinge nel 1930 a lasciare il cinema e ritirarsi a Cava de’ Tirreni, dove morirà dimenticata nel 1946. E da cui aspetta, finalmente, di essere dissepolta.