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 2025  febbraio 02 Domenica calendario

Bruno Conti: “Il mio calcio prigioniero degli algoritmi

Nemmeno Totti rappresenta il romanismo come lui. Bruno Conti da Nettuno. Non fosse altro, ma non è certo tutto, che Brunetto, nella Roma ha fatto la qualunque. Gli manca solamente di fare le pulizie. Forse. Perché nel suo storico ufficio a tinte forti e gialle e rosse si dice fosse lui a sistemare meticolosamente fogli, souvenir, gagliardetti, premi, magliette e qualunque altra cosa tinta di giallo e di rosso. Conti, a Trigoria, all’Olimpico e non solo ha fatto qualsiasi cosa. Giocatore, allenatore, dirigente. Tutto.
E adesso? 
«E adesso faccio il Coordinatore tecnico delle categorie che mi piacciono di più. Dagli under dieci agli under quattordici, ovviamente sempre alla Roma».
Come sta? 
«Bene, tutto a posto, anzi alla grande. Ho subìto un intervento, è andato bene e anche la tac mi fa stare tranquillo».
Sempre tifoso romanista? 
(Ride). «Assolutamente! Mio padre aveva il sangue veramente giallorosso. Quando mi prese la Roma impazzì. Aveva sette figli, lui si alzava alle 4 e tornava a casa alle 7 di sera per fare il muratore a Roma. Seppe la notizia, io avevo diciassette anni, e gli si illuminò la faccia».
Di Bruno Conti campione con la maglia giallorossa e con quella della Nazionale ha scritto il mondo. Due cose che non ha mai detto. 
«Oddio, di solito ho raccontato sempre tutto nelle varie interviste. Della famiglia, del lavoro, dei compagni. Ho avuto tante soddisfazioni e come è giusto che sia ho fatto qualche sacrificio. Andare subito lontano da casa, al Genoa, in B, due anni in B non è stato facile. Ma dovevo, come si dice, farmi le ossa. Venivo dalla Primavera e Gigi Simoni mi volle a tutti i costi. Volevano ritornare in serie A, ci riuscimmo. Vinsi il Guerin d’oro come miglior giocatore. Devo ringraziare Gigi, fece una scommessa vera».
Le hanno anche chiesto, quando la Roma stava a pezzi, di fare l’allenatore. Prima l’aveva fatto solamente nel settore giovanile. Perché proprio lei e chi glielo chiese? 
«Era un momento particolare. I problemi familiari di Prandelli, poi Delneri, rischiavamo la retrocessione. Rosella Sensi fece una riunione con Totti, De Rossi e altri giocatori, e mi chiesero di fare da traghettatore, un po’ come Ranieri oggi. Ma lui è un allenatore vero e bravissimo oltre a essere la persona giusta, io non avevo esperienza, a parte il settore giovanile. C’erano fior di giocatori. Totti, Perrotta, Cassano, tanti. Andò bene perché ci salvammo alla penultima giornata a Bergamo, gol di Cassano. Non dimenticherò mai Rosella a fine partita. Abbracci e lacrime, una liberazione e una marea di romanità».
Bruno Conti e i compagni nella Roma. Il più forte, il più sottovalutato, il più amico. 
«Beh, il rapporto più stretto l’ho avuto con Pruzzo fin dal Genoa. Il bomber mi ha aiutato, abitavamo insieme. Poi siamo stati una vita alla Roma, abbiamo fatto anche il militare nella stessa caserma senza contare che in campo eravamo fratelli. Io gli facevo gli assist, lui la buttava dentro. È un uomo eccezionale. Lo stesso con Agostino Di Bartolomei. (Pausa). Indimenticabile, Ago. Mi ha accolto a Roma, mi ha cresciuto, era un capitano, un leader, lo ringrazierò per tutta la vita. Il giocatore più bravo, mi creda, non saprei. Per gli allenatori dico subito Liedholm. Giocatori penso a Falcao, Ancelotti ma ce ne sarebbero molti da citare. Avevamo dei campioni incredibili in quell’anno dello scudetto e ovviamente ridico Pruzzo che era sempre capocannoniere. Sottovalutati? Mah, nessuno, hanno fanno tutti una signora carriera».
Stessa domanda con la maglia azzurra. 
«Che fatica! Eravamo un gran collettivo. Ma se proprio devo fare un nome dico Claudio Gentile. Un mostro. Ma veramente ognuno ha fatto il suo. Ciccio (Graziani), Dino (Zoff) con quella parata a fine partita col Brasile… però Gentile ha cancellato Zico e Maradona, due fenomeni, loro erano Il Calcio. Anche in quelle sfide in campionato con la Juve Claudio è quello che mi ha messo maggiormente in difficoltà. Il più amico è facile. Ciccio Graziani, ci chiamiamo “fratelli”, è simpaticissimo, poi lui di Subiaco, io di Nettuno. Ancora oggi ci facciamo scherzi pazzeschi».
Passiamo ai dirigenti.
«Fernando Fabbri. Era il dirigente accompagnatore della Roma. Lavorava con passione, sono legatissimo a quello che è stato per anni il nostro rapporto. Il suo mestiere è sempre stato sottovalutato. Per tutti noi era un padre in tutto quello che faceva. Poi dico anche Guido Avvantaggiato in Nazionale. Non gli scappava nulla, guai a chi gli toccava i ragazzi, non mancava mai niente, era lui l’organizzazione della nazionale, faceva pure i cambi con la lavagnetta».
Allenatori
«Liedholm il più bravo. Mi ha insegnato il calcio ma anche la vita. Quindi, come dicevo prima, Gigi Simoni: bravissimo e simpaticissimo. Amici ne ho avuti tanti, ma ridico ancora Nils anche per mille consigli anche fuori dal campo. Mettici anche che ci ha fatto vincere quello scudetto storico….».
Ecco, quello scudetto dopo una vita. Oltretutto da tifoso oltre che da super mega iper protagonista. 
«È stata la giornata più bella della mia vita, crescere in quel vivaio, il tricolore cucito sul petto, quello che dicevo di mio papà… Quando abbiamo vinto è impazzito, gli devo molto e devo molto anche ai tifosi della Roma che sono unici, anzi incredibili». 
Lei torna a Nettuno dopo la festa. Suo padre che cosa fa?
«Niente. Parlava poco, bastava lo sguardo di una felicità unica. E poi lo vidi dopo un po’ perché c’era tutto il paese davanti a casa, avevano organizzato una festa spaziale».
Nel calcio chi sono gli amici di Bruno Conti?
«Il gruppo del Mondiale 82 e quello della Roma dello scudetto. Siamo stati a pranzo insieme anche una settimana fa. Siamo sempre tutti in contatto. Ci sentiamo per gli auguri di compleanni, ci divertiamo, parliamo anche dei vari problemi, siamo in contatto tutti i santi giorni».
I dolori più grandi legati al mondo del pallone. 
«La morte di Agostino, di Paolo Rossi e di Gaetano Scirea. Perdite pazzesche, come quella di Aldo Maldera. Ci sto ancora malissimo. Saranno per tutta la vita nel mio cuore. Sono persone che mi hanno dato tanto. Prima dicevo di Ago. Nel mio primo giorno alla Roma venne lui ad accogliermi al campo Tre fontane. E non voglio dimenticare Gianluca (Vialli)». 
Una persona non famosa nel mondo del pallone a cui deve qualcosa. 
«Sono cresciuto per strada, avevo tanti amici, non c’erano campi, li facevamo noi con i mattoni e con bastoni per fare le porticine. Gli amici d’infanzia, i fratelli di sempre. All’epoca vennero al Mondiale in Spagna ma gli si ruppe la macchina prima della partita con l’Argentina. Causio mi chiamò: Bruno vieni fuori. C’erano tutti i miei amici di Nettuno con uno striscione. “Per il mondo sei Bruno Conti, per noi sei Marazico”. Lacrime. Hanno fatto sacrifici sempre, poi la macchina non potevano aggiustarla perché avevano i soldi contati per quella trasferta. Pensavano di rientrare in Italia ma vincemmo e dopo c’era il Brasile. Così me li sono tenuti lì pagando l’albergo, il mangiare con grande, anzi immensa, gioia». 
Tra gli allenatori che ha avuto o addirittura scelto nel vivaio della Roma chi ricorda con maggior stima?
«Nel vivaio a me piace chi insegna calcio, nei settori giovanili conta di più chi addestra i bambini, cosa fondamentale. Devi insegnare calcio. Ne ho avuti mille, e diversi poi hanno allenato anche in A. Per i bambini di dieci anni e per i ragazzi di quattordici sono figure fondamentali, determinanti. Volendo fare dei nomi dico Montella, Stramaccioni, Alberto De Rossi, un fenomeno dai piccolini in poi, ma ce ne sarebbero veramente tanti da citare” Mi faccia dire visto che non li ho nominati prima che da calciatore ho stimato tantissimo Eriksson e Radice e non posso non citare Capello che, seppur con una squadra fortissima, ci ha fatto vincere un altro scudetto».
La sua miglior partita.
«Penso contro il Dundee, la semifinale di Coppa dei campioni. Avevamo perso due a zero in Scozia, abbiamo vinto tre a zero al ritorno. Nei Mondiali, invece, di sicuro quella contro il Brasile, la vera finale». 
Il più forte giocatore romanista di sempre.
«Totti, De Rossi, Aldair e Candela». 
Lei ha due figli, entrambi hanno giocato in serie A. Un record. Facile immaginare quanto si sia sempre parlato di calcio a casa Conti.
«Invece no. Eppoi io ero sempre in giro tra ritiri e partite. La persona più importante della mia vita è mia moglie Laura. Lei ha cresciuto i figli. Che hanno avuto un cognome pesante. Sia chiaro che ho imposto nulla. Hanno fatto tutta la trafila e sono arrivati lì esclusivamente per loro merito. Erano bravi ma il papà…. Le soddisfazioni vere le ho avute quando hanno smesso col pallone. Daniele, a Cagliari, esordì segnando alla Roma, ha il record di presenze in rossoblu, lì è amatissimo. Andrea, il più grande, era veramente più tecnico di me. Ma ha avuto molti problemi: prima la caviglia, quindi la spalla, varie operazioni… Ha fatto benissimo in C e a fine carriera nella serie A Svizzera».
Conti scopritore di talenti. Perché ha scelto questo ruolo e non, chessò, quelli di direttore sportivo o allenatore? 
«In realtà da grande volevo fare l’allenatore e ho cominciato in panchina nel vivaio giallorosso con Ermenegildo Giannini, il papà di Beppe. Avevo i Giovanissimi ed era la mia passione. Poi mi chiamò Mezzaroma quando acquistò la Roma con Sensi per chiedermi di fare il responsabile di un settore giovanile praticamente da costruire da zero. Accettai e scoprì che mi piaceva andare in giro per i campetti di periferia, vedere i ragazzi e gestire il complicato rapporto con i genitori che vogliono che i figli diventino fenomeni. Ma il calcio non è per tutti. Devo dire che ho avuto soddisfazioni immense. Vedere bambini diventare campioni non è spiegabile. Penso più che altro a Daniele De Rossi che presi dall’Ostia mare, ad Aquilani scovato nella Spes Montesacro, a Bovo, a Pepe. Daniele e Alberto li scoprì in quei campi estivi che organizzavo». 
A proposito di vivaio, accademia, campi estivi. Se le dico di un suo amico che si chiama Bruno Banal, ai più sconosciuto?
«Beh, con Bruno c’è un rapporto da una vita, lavora da sempre con i piccolini, faceva anche l’istruttore e lo fa tuttora con l’Academy. È un amico, abbiamo un rapporto splendido, è bravissimo, una persona semplice, umile, una persona eccezionale che ha una passione per il calcio incredibile».
Un ragazzo forte che non ce l’ha fatta.
«C’era un centrocampista, Palermo, che poi ha fatto tanta serie C ma poteva arrivare molto in alto. Lo stesso Zotti, il portiere, ha giocato anche in A ma aveva mezzi per fare di più Un altro è Emanuele Morini».
Allo stadio in che settore vede le partite? 
(Ride). «Dietro una recinzione approssimativa. Il sabato e la domenica vado a girare per campetti in cerca di nuovi romanisti». 
La Roma di oggi. Non è un mistero che De Rossi sia un suo grande amico. 
«Sbagliato. È come se fosse un figlio. Ero contentissimo di vederlo sulla nostra panchina perché è già bravissimo. A me piace tutto quello che fa, pensa e dice Daniele. È stato un giocatore pazzesco, è un uomo eccezionale. Non nascondo che il suo esonero mi ha fatto male, molto male, ma proprio molto. Lui, Francesco, Giannini oltre che essere stati capitani sono la Roma». 
E adesso c’è Ranieri.
«Per Claudio sono arcicontento. Ha accettato per il bene della sua e nostra Roma. Ranieri, con la gestione Sensi, ci portò ad arrivare vicini allo scudetto. Con lui c’è amicizia, rispetto, lo amo anche per la persona che è. Per me parlare di Claudio è come parlare di Ddr». 
Ritornerà la Roma a giocare per lo scudetto e per quelle notti da coppa dei campioni?
«Lo spero tanto, tantissimo. Posso soltanto dire, da tifoso, che me lo auguro con tutto il cuore». 
E in generale come sta il calcio italiano e come stanno i vivai?
«Penso che il calcio stia cambiando molto e credo sia fondamentale, obbligatorio ripartire dai settore giovanili. Basta con sti algoritmi, il calcio non è una scienza, serve ritornare alla normalità, scegliere persone che insegnano le basi. Si pensa troppo al fisico e poco alla tecnica. Anche le partite dei bambini le preparano sull’avversario. Folle. Devono giocare a pallone, divertirsi, esprimersi. Gli dicono di fare due tocchi o di darla di prima… ma lasciate che facciano quello che si sentono. In queste età bisogna crescere non vincere». 
Il suo taglio, si fa per dire, di capelli è una sorta di segno indelebile e internazionale. A che età si taglierà i capelli?
(Ride). «Quando giocavo arrivavo sempre per ultimo sul pullman. Stavo ore con il mio phone a pettinarli. Guai toccarmeli. Io sono anche i miei capelli».