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 2025  febbraio 02 Domenica calendario

Ritratto di Daniela Santanché

Daniela Santanchè arriva da un mondo a noi sconosciuto. A noi umani, intendo (qualcosa potrebbe spiegarci forse il suo amico Ignazio La Russa, che poi dicono sia ormai quasi un ex amico: chiacchiera brutale – e chiamiamola chiacchiera – su cui ragioneremo tra un po’).
Scena annunciata, ma lo stesso psichedelica. Tanto per inquadrarla subito: questa ministra, questa donna ha lasciato a Milano i magistrati che la braccano ed è davvero venuta a sfidare non solo un partito, ma un’intera comunità e la sua adorata regina (Giorgia). 
Hanno già scritto che è sfrontata e coraggiosa, cinica e scaltra, spregiudicata e prepotente per destino. Abituata all’azzardo. All’esagerazione estetica. Al lusso sfrenato («Cambio una Birkin al giorno, embé?»). All’ambiguità negli affari. E a considerare la politica sempre e soltanto come un meraviglioso ascensore. Può darsi: adesso, però, siamo oltre. 
Guardiamola da vicino. Dove? Qui, in via Alibert, dietro piazza di Spagna, una stradina di sampietrini tra gallerie d’arte e atelier, Federico Fellini abitava cento metri più in là: ma è laggiù in fondo, nel centro convegni «Roma Eventi», che i Fratelli d’Italia hanno organizzato la direzione del partito ed è davanti a quell’ingresso che rallenta un’Alfa Stelvio grigia con i vetri oscurati, nella quale cameraman e fotografi, come rabdomanti eccitati, sentono la presenza della Santa. 
Tonfi, grida smorzate, gomitate. Mischione furibondo. Poi la portiera posteriore di destra si apre, lentamente. Primo, e definitivo, dettaglio: la brace nei suoi occhi. Lasciamo stare il viso, liscio e immobile. È quella brace che toglie il fiato. E che ha costretto alla resa anche un consigliere affettuoso come Ignazio, che infatti oggi nemmeno è venuto. «Daniela faccia una valutazione...». Ecco, sì: l’ha fatta. È qui. Sfrigolano le sinapsi dei cronisti, nel groviglio di cavi e microfoni, mentre urlano domande a raffica. Si dimette? Perché è venuta? Lo sa che la Meloni non c’è? Capisce che non vuole più incontrarla? Avverte l’ostilità del partito? 
Ma lei si fa largo con le labbra serrate e adesso è dentro, s’accarezza la nuca, è stato lo spigolo di una telecamera. Indossa una giacca di pelle nera, un maglione a collo alto nero (perché con il nero non sbagli mai, diciamo), e poi jeans e scarponcini. Il senatore Alberto Balboni se la trova davanti all’improvviso e l’abbraccia, non troppo convinto. Lei scende tre scalini e subito entra nel salone dove i lavori della direzione sono già cominciati da oltre un’ora. 
Viene avanti nel gelo. Il gelo, capite? La verità è che i deputati e i senatori sanno tutto, hanno letto tutto. Prima, a Gedda, in Arabia Saudita, quello sfogo ruvido, aggressivo: «Un pezzo del partito mi vuole fuori? Chissenefrega, non mi dimetto». Poi, il giorno dopo, quel goffo tentativo di smentire, di correggere il tiro – «Cioè: pronta a dimettermi solo se me lo chiede la Meloni» – e però l’avevano registrata, aveva detto proprio così: «Chissenefrega». 
I Fratelli la osservano mentre va a sedersi in prima fila, tra il senatore Guido Castelli e il ministro Tommaso Foti. Sguardi torvi. Pieni di un astio antico. L’hanno vista scalare il partito considerandola sempre un’entità estranea, misteriosa, diversa antropologicamente, così distante dalla loro storia, da quella militanza sempre impregnata di travolgente passione politica e un certo concreto pauperismo. Cosa ne sa, la Santa, di Giorgio Almirante che va ai funerali di Enrico Berlinguer in Fiat Cinquecento e di Teodoro «er pecora» Buontempo che dorme in macchina a Villa Borghese? E lasciamo stare quelli che facevano volantinaggio, sfilavano in corteo, e restavano poi stesi davanti alla sezione di Acca Larentia. Lei non sa nemmeno dove sia Colle Oppio. Di lei tutti si accorgono mentre, in bilico su tacchi da diva, carica di gioielli, entra dentro An sottobraccio al suo amico Ignazio e poi però sale i gradoni di Palazzo Grazioli, velluti rossi e lampadari come a Versailles: nella reggia romana di Berlusconi, con Verdini e Brunetta, il povero Capezzone sempre inseguito da Dudù, barboncino di corte, c’è stata infatti a lungo anche la Dani, consigliera fedele, una di famiglia, come dimostrano le memorabili foto mentre fa jogging con la Pascale, all’epoca fidanzata del Cavaliere. 
Una sua assistente, ora, gliene scatta altre tre, e poi le pubblica, in tempo reale, su X. «Orgogliosi del percorso che stiamo facendo e della fiducia che ogni giorno gli italiani ci dimostrano. Continueremo a lavorare uniti per raggiungere traguardi sempre più ambiziosi». Continueremo a lavorare, scrive. Testarda, un animo tenuto con il fil di ferro. Come se questa storia di truffe e procure che chiedono chiarimenti fosse solo l’ennesimo inciampo. Come il velo strappato alle musulmane fuori dalla moschea, il dito medio esibito agli studenti in sciopero, o l’imbarazzo generale di quando, con il cappello da cowboy, si faceva massaggiare sotto il tendone del Twiga: perché era riuscita a farsi dare il Turismo nonostante possedesse, insieme a Flavione Briatore, uno stabilimento balneare. Faccia liscia come una porcellana, e tosta come il marmo. Paolo Cirino Pomicino, che la ebbe allieva (già, la Santa fu pure democristiana): «Daniela non conosce vergogna». 
Ma è maestra di strategie. La sua presenza appare una mossa precisa in vista del 10 febbraio, quando al Senato si discuterà la mozione di sfiducia dei 5 Stelle. Sono qui, tra voi, una di voi: volete votarmi contro? Ora parlotta con Giovanni Donzelli (che, infatti, ci aveva detto: «Lei, comunque, la nostra fiducia ce l’ha», e certo). La Santa – ignorata da Arianna – s’alza e sparisce. Da dove è uscita? Torna? No, non torna. Due cronisti vanno allora a fare qualche domanda al deputato Manlio Messina («Feticismo giornalistico», commenta, amaro, un fotografo). Poi passa Chiara Colosimo, presidente della Commissione antimafia, con una specie di coperta sulle spalle. 
Che ora s’è fatta? Andiamo a pranzo, va.