La Stampa, 1 febbraio 2025
L’Italia negli anni del Male
«Lo sviluppo logico di un assunto assurdo». In fondo lo spirito del Male, settimanale satirico che nacque, visse e prosperò nel segno del falso, cioè della capacità di capovolgere la realtà codificata traendone divertimento puro e dissacrante, a volte ben oltre il limite del blasfemo, sta in questo concetto. Parole mutuate da William Thackeray e riproposte da Angelo Pasquini, autore con Mario Canale e Giovanna Caronia – vedova di Vincenzo Gallo in arte Vincino, che della rivista fu direttore – nella presentazione del volume Gli anni del Male, quando la satira diventa realtà pubblicato da DeriveApprodi.
Il giorno in cui gli edicolanti, divenuti gli alleati principali del foglio uscito fra il 1978 e il 1982, esposero in bella vista le prime pagine di Paese Sera, La Stampa e Il Giorno con la notizia sconvolgente che Ugo Tognazzi era il capo delle Brigate rosse, l’inganno fu totale e destabilizzante: avevano tutta l’aria, la grafica e le foto dei giornali veri, ma in verità era Il Male in uno dei suoi più clamorosi travestimenti. «Per fare quel numero eravamo partiti da una premessa, l’inchiesta del 7 aprile (1979, ndr) con gli arresti, fra gli altri, di Toni Negri, accusato pretestuosamente di essere a capo dei brigatisti – racconta Pasquini, autore e interprete anche nelle foto di quella presa in giro -. Volevamo sbeffeggiare la tesi cospirazionista e grazie a un nostro collaboratore, lo sceneggiatore Sandro Parenzo, che lo conosceva, abbiamo sondato la disponibilità di Tognazzi». Lettore del Male e amante degli scherzi, l’attore si presta alla messa in scena: «Andammo a casa sua a Velletri, io, Piero Lo Sardo, Vincino e Sergio Saviane, l’unico in borghese mentre noi eravamo in divisa da carabinieri». Le immagini a corredo del servizio mostrano Tognazzi ammanettato, lo sguardo smarrito, mentre esce da un frigorifero con un grembiule addosso per essere assicurato alla giustizia.
A uno sguardo appena più attento, la vera natura della parodia si rivelava: Raimondo Vianello nella direzione strategica da una parte, il suo commento «è pazzo ma lo perdono» dall’altra, fino alla dichiarazione del finto brigatista «Quando mi calo il cappello da cuoco provo un brivido nella schiena», a parafrasare la famosa frase di Toni Negri sul passamontagna. Tutti indizi rivelatori della trappola, ma ormai era fatta, il giornale era venduto e le sue trovate si conficcavano nell’immaginario degli italiani. Tutto questo succedeva in uno dei periodi più drammatici della nostra Storia recente, quando il terrorismo picchiava più duro e il piombo lo si respirava nell’aria, ma forse anche per questo, per sfuggire a quella cappa, Il Male ebbe tanto successo (180 mila copie il falso con Tognazzi).
Era stato fondato nel febbraio 1978 da Pino Zac, direttore per tre numeri prima di passare il timone a Vincino. Pasquini, Lo Sardo e Canale venivano dall’esperienza di Zut, foglio del movimento romano: «Pensavamo che il falso fosse il grimaldello per rompere un mondo della comunicazione basato sulla mistificazione – dice il primo -. Al Male abbiamo ereditato una certa parte creativa del Settantasette, che metteva in scena parodia e gioco per rovesciare le verità ufficiali». Nel maggio di quell’anno il primo falso, la copertina di Repubblica con titolone a caratteri cubitali: “Lo Stato si è estinto”, sottotitolo “250mila agenti di polizia disoccupati, panico fra i parastatali”. «Avevamo copiato la grafica, gli edicolanti erano nostri complici e mettevano la prima pagina in evidenza, fu uno choc – ricorda Pasquini -. Eugenio Scalfari ci telefonò infuriato, rispose Jiga Melik e lui ci riempì di contumelie: “Vi sentite spiritosi ma siete solo dei delinquenti facinorosi, dei mascalzoni. Avete osato l’inosabile… prendere per il naso un grande giornale, io vi rovino! Siete delle canaglie sovversive! Dei teppisti! Dei parassiti!”. Ci minacciò di querele che però non arrivarono mai». Un altro falso colpisce al cuore un mostro sacro nazionale, il calcio, con la prima pagina del Corriere dello Sport: “Annullati i mondiali”, e tutto perché gli olandesi, nella partita con gli azzurri, si erano drogati di droperone.
In pieno compromesso storico, l’Unità titola “Basta con la D.C.!”, poi un bel giorno quei burloni del Male, che nel frattempo fanno una collezione interminabile di denunce, piazzano un busto di marmo con la caricatura di Andreotti fra i monumenti del Pincio, con tanto di discorso ufficiale di Roberto Benigni: «Arrivò la polizia che ci accusò di oltraggio e cercò di portarsi via la statua, ma quello era marmo vero e gli agenti rischiarono di cadere sotto il peso…», racconta Pasquini. Nello sforzo produttivo di falsi e fotoromanzi entra anche il miglior fumetto d’autore dell’epoca: il gruppo di Cannibale – Andrea Pazienza, Filippo Scozzari, Stefano Tamburini e Tanino Liberatore – pubblica perle come la prima storia di Ranxerox di Tamburini-Liberatore e un famoso ritratto di Sandro Pertini di Paz che valse un invito ufficiale del presidente al Quirinale.
Un giorno i redattori del Male inscenano il discorso urbi et orbi di un finto Papa dal balcone della redazione a Monteverde, quando era appena stato eletto Giovanni Paolo II: il pomeriggio stesso arriva la polizia e si porta via i primi che si trova davanti: «Venne arrestato anche Vincenzo Sparagna, che si fece un paio di giorni a Regina Coeli... tutto sembrava la parodia dei fatti tragici che vivevamo allora». —