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 2025  gennaio 29 Mercoledì calendario

I libri li fa già l’Intelligenza Artificiale


La copertina? L’ha disegnata l’Intelligenza artificiale. La traduzione? L’ha fatta l’Intelligenza artificiale. Le bozze? L’ha riviste l’Intelligenza artificiale. Il libro? L’ha scritto un essere umano. Si spera.
Anche in editoria l’uso dell’IA si sta diffondendo celermente e capillarmente, nonostante i pregiudizi di facciata e la reticenza nell’ammetterlo. Solo negli ultimi giorni sono due i romanzi, segnalati dai lettori, che paiono ritoccati col software, pur non dichiarandolo: Figlio prediletto di Jay Crownover, edito da Ruby Ink, ha una copertina porno soft che “sembra fatta con le app gratuite”, chiosa una book-blogger. “La zia diventa un ‘lui’. Non si può tradurre a caso. A meno che non si usi un traduttore online. Il genere non è l’unico errore: tempi verbali sbagliati; ripetizioni; pick-up come camion… Questo libro non è passato tra le mani di professionisti: grafico, traduttore, editor… Basta farci prendere in giro”. Il secondo caso riguarda Piombo e tritolo di James Hadley Chase, fresco di stampa per Time Crime di Fanucci: la traduzione è a cura dell’agenzia Maxidia che, complice l’algoritmo verosimilmente, cede a più d’uno strafalcione, dalla “sedia girevole che si inclina pericolosamente a 45 gradi” alla donna che “scivola dalla scrivania”. La casa editrice però si smarca: “Da sempre il gruppo si è avvalso di risorse umane e continuerà a farlo. Mi domando se non siano proprio i traduttori a usare l’IA e così gli illustratori”.
Da Io, robot ai robot veri: fatalmente la letteratura cede al fascino dell’algoritmo. Chi si dice “stanco delle cose finte”, da autore, lettore e umano, è il best-sellerista Antonio Manzini: “Non ce la faccio più. Non si sa se quegli zigomi siano tuoi e ora neanche se quel libro l’abbia scritto tu. Tutto si riduce a mercato, ma il lettore se ne accorge che la macchina lavora malamente: io non darei mai i diritti dei miei romanzi a chi sfrutta l’IA”. Neanche per un aiutino? Perché uno scrittore, ad esempio, non può usare un chat-bot per superare una impasse creativa o un buco di trama? “Se uno ha un blocco, se non ha nulla da dire, non scrive. Non è necessario, non sta salvando vite. Leggeremo altro”.
Si torna però alla responsabilità individuale: chiunque ha accesso a programmi open source, gratuiti o poco più. Come controllare? Per Lia Bruna, coordinatrice nazionale del sindacato traduttori Strade Slc-Cgil, “anche il lettore, volendo, può commissionare un libro su misura, che risponda alle proprie aspettative, e bypassare tutta la filiera. A oggi i mestieri più a rischio sono la traduzione e l’illustrazione, pur essendo già sottopagati. La tendenza prevedibile è che, invece della traduzione, ci venga chiesta la revisione di testi pre-tradotti dalla macchina. All’estero alcuni editori non nascondono di utilizzare sistemi di IA: l’olandese Vb&k o il tedesco Springer, incappato nel marchiano errore di Das Kapital, Il Capitale di Marx, diventato Die Hauptstadt, la città capitale. Amazon, inoltre, sta puntando a disintermediare la filiera. In Italia, per ora, c’è preoccupazione da parte di colleghi che traducono per i giornali e la sensazione è che gli editori siano interessati all’IA per ridurre non tanto il costo del lavoro (che da noi vale la metà, se non un terzo, che in Francia, Uk, Germania…) quanto i tempi di produzione: l’unica strategia che sembrano mettere in campo, per sopravvivere in un mercato soprasaturo, è aumentare la produttività a scapito del lavoro e della qualità: nel 2023 sono usciti più di 233 titoli al giorno”.
Di “omologazione poco letteraria” parla il presidente dell’Associazione degli editori indipendenti Andrea Palombi: “L’IA per ora offre creazioni piane, banali, quasi scadenti. La revisione umana è necessaria”. Né apocalittico né integrato, ammette che “in editoria si usano già programmi per la grafica e la correzione di bozze, ottimi con le bibliografie o coi nomi stranieri: ci sgravano da mansioni rognose. Così come viene sfruttata nel self-publishing per accelerare la produzione: quantità, non qualità. Il rischio è la standardizzazione, laddove l’IA può anticipare e cavalcare i gusti del pubblico sulla base di esigenze commerciali, di pura vendita. Ma così, addio bibliodiversità, sperimentazione linguistica e culturale”.
Tra le piccole realtà c’è chi prova a fare Resistenza: “Nessun software di IA è stato utilizzato per concepire, articolare e scrivere questo romanzo”, si legge in esergo a L’indignata di Giuliana Zeppegno, pubblicato da Terra Rossa. Commenta il direttore Giovanni Turi: “Non abbiamo un atteggiamento di chiusura a priori nei confronti della macchina, ma notiamo il tabù: si fa, ma non si dice”. I grandi si tutelano con scritture private: “Occorre regolare i contratti con autori e traduttori che potrebbero usare l’IA. Così come dobbiamo esplicitarne l’uso nei confronti dei lettori”, spiega Andrea Angiolini, delegato all’innovazione dell’Associazione italiana editori. “Siamo impegnati nell’informazione e formazione dei nostri iscritti. Quattro i valori da difendere: diritto d’autore; trasparenza; responsabilità; proporzionalità, ovvero un uso circoscritto dell’IA e comunque supervisionato da un umano”.
L’Ue è la prima al mondo a tentare di legiferare in materia – per limitare abusi, contraffazioni… – con un Regolamento (maggio ’24) che, tra l’altro, prevede totale trasparenza sulle fonti che “allenano” la macchina. Nel frattempo s’è mosso il Consiglio europeo delle associazioni di traduttori letterari con inchieste e manifesti, slogan belli quanto inascoltati: “La creatività è ciò che ci rende umani”. Staremo a vedere.