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 2025  gennaio 29 Mercoledì calendario

La foglia di fico dell’atto dovuto


L’iscrizione nel registro indagati della Procura di Roma del premier Meloni, di due tra i più autorevoli ministri del governo in carica e del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, descrive perfettamente un cortocircuito politico-giudiziario che rischia di gettare ombre sulla ritrovata autorevolezza dell’Italia in Europa e nel resto del mondo.E, soprattutto, veicola il messaggio surreale secondo il quale chiunque può denunciare un ministro o un presidente del Consiglio e ottenere che venga indagato. Con il corollario inevitabile di polemiche, di richieste di chiarimenti, di attacchi politici e di articoli di stampa negativi.I fatti sono noti: i giudici della corte d’Appello di Roma decidono in autonomia di annullare l’arresto del capo della polizia libica perché eseguito con una procedura irregolare per conto della Corte Penale Internazionale. E i nostri apparati di sicurezza, vista la pericolosità del personaggio, decidono di farlo rimanere il meno possibile in circolazione nel nostro territorio e lo rimpatriano con un aereo di servizio. Passano 48 ore e un avvocato penalista che è stato anche sottosegretario alla Giustizia presenta una denuncia e accusa Giorgia Meloni, Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e Alfredo Mantovano di favoreggiamento (per aver favorito la “fuga” del cittadino libico) e di peculato (per aver utilizzato per profitto proprio o di altri un aeroplano di servizio). Passano altre 48 ore (il sabato e la domenica) e il lunedì mattina la procura di Roma, iscrive nel registro indagati i quattro nomi segnalati nella denuncia e annuncia l’invio degli atti al Tribunale dei ministri.Senza fare nessun tipo di verifica, come peraltro prevede la norma su questo tipo di procedimento. E senza neanche aspettare il dibattito previsto oggi pomeriggio in Parlamento, in cui proprio il ministro Piantedosi avrebbe dovuto fornire i chiarimenti sulla vicenda del cittadino libico rimpatriato (dibattito che a questo punto, vista l’inchiesta, è stato necessariamente sospeso).A dare notizia della clamorosa iniziativa giudiziaria un premier indagato con due ministri di punta e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio è una cosa che non si era ancora mai vista, neanche negli anni di Tangentopoli è stata la stessa Giorgia Meloni. E non poteva fare altrimenti, vista l’altissima probabilità che la notizia, seppur coperta dal segreto istruttorio, sarebbe uscita su qualche giornale ostile alla premier. Esattamente come era uscita nei giorni scorsi un’altra notizia riservatissima su una inchiesta che vedeva come parte lesa il capo di gabinetto di Palazzo Chigi.E allora viene da chiedersi: ma davvero l’ombrello dell’ “atto dovuto” utilizzato dalla procura di Roma può consentire a chiunque di denunciare un politico e spedirlo sulla graticola giudiziaria? Davvero un procuratore della Repubblica è ridotto al rango di passacarte e non ha il potere di verificare la credibilità delle denunce che gli arrivano sul tavolo? Davvero è possibile pensare che il ministro della Giustizia abbia favorito la “fuga” di un cittadino libico che è stato scarcerato da una corte d’Appello? E che lo stesso possa dirsi del ministro Piantedosi, che ha firmato l’espulsione di quel cittadino libico ormai libero e considerato pericoloso? Non sarebbe stato il caso di considerare il rimpatrio di quel libico un atto in nome della “ragion di Stato” e fare tesoro di quello che era successo neanche quindici giorni prima, quando all’arresto di un ingegnere iraniano era immediatamente seguito il sequestro della giornalista Cecilia Sala?Il sospetto è che dietro ci sia la volontà di innalzare il livello dello scontro tra il potere giudiziario e quello esecutivo. Uno scontro in atto da mesi, rimasto sottotraccia fin quando il motivo scatenante l’annunciata riforma della giustizia e la separazione delle carriere non è arrivato in dirittura d’arrivo. È questo l’esistenza di un sospetto – il danno maggiore provocato dai quattro provvedimenti giudiziari notificati ieri ai vertici del nostro governo. Un sospetto legittimo, che rischia di indebolire l’immagine stessa del Paese, proprio quando l’Italia ha assunto un ruolo guida in Europa e di interlocuzione privilegiata con gli Stati Uniti.Significa che proprio quando i poteri dello Stato, tutti indistintamente, dovrebbero essere coesi nell’interesse collettivo, si dividono e perdono prestigio, credibilità, reputazione. Uno, il potere giudiziario, perché trasmette la sensazione di maneggiare le carte bollate in maniera disinvolta; l’altro, il potere esecutivo, perché costretto a difendersi da un’accusa surreale: aver difeso la sicurezza dei cittadini italiani nel loro Paese e all’estero, evitando rappresaglie prevedibili. Uno scontro nel quale a rimetterci sono soprattutto gli italiani.