La Stampa, 29 gennaio 2025
Caos Congo
In ogni nome c’è infissa una tragedia, collettiva, gigantesca, fatta di numeri a cinque, sei zeri. Kibumba per esempio. O Kamyoruchinya. Chi ha mai sentito nominare Kibumba? Non riuscirete a trovarlo sulla carta geografica questo nome, non è nemmeno una cittadina o un villaggio. È più, è peggio: sono due dei campi profughi attorno a Goma, la più grande città del Kivu, nell’Est del congo, che è appena caduta nelle mani dei ribelli del misterioso movimento M23; una finzione, una sigla vuota. In realtà l’hanno conquistata i soldati del vicino Ruanda. Qui la storia è un campo di rovine, in cui risuonano i lamenti senza nome degli individui in lacrime. Qui per tre milioni di persone in cui l’unico mestiere, progetto, identità è quello del profugo, soffrire è la prima e l’ultima pagina del mondo. Un dolore esplicito, nudo, che non nasconde nulla, dolore senza scampo dove perfino un lago di zaffiro in cui si specchia, il lago Kivu, brilla solo come un astro morto. Non hanno diritto a essere singoli: l’ultimo oltraggio a cui li esponiamo, essere, collettivamente, in modo anonimo «il più grande disastro umanitario» del nostro tempo. L’ennesimo.Vi annoiavano le guerricciole feroci, puzzolenti e inconcludenti dell’Africa ? Ora potete esser soddisfatti: ecco nel Paese che è tragicamente il più ricco e il più povero del mondo, una vera guerra tra nazioni, sì, di quelle vere come tra Russia e Ucraina. Il Ruanda ha invaso il Congo. A suo modo la storia evolve.Goma ha un milione di abitanti, nei campi ne vivono, anzi ne sopravvivono altrettanti, affamati, con poca acqua potabile, senza medicine, nutriti da un impegno quasi missionario dalla carità internazionale, ogni notte le donne violentate, i figli portati via (Ah, li ritroveremo presto nelle armate dei soldati bambini). Li osservano con noncuranza, indolenti, i Caschi blu del contingente che è li da decenni, un monumento all’impotenza che fa urlare di rabbia. Il bianco immacolato dei loro automezzi non rispecchia il candore della anime di chi fa finta di dirigerli dietro i vetri del Palazzo di New York. Con quello che è stato speso per mantenerli si sarebbe offerto un diverso destino a tutta questa gente. Hanno visto arrivare la guerra, si sono fatti da parte: hanno avuto tre morti, un minuscolo incidente, il loro “ingaggio’’ non è sparare, difendere, difendersi, è osservare!Quando tutto questo è iniziato nessuno ve lo saprà dire, la guerra dei trenta anni, la chiamano. Chissà. Questa nuova pagina risale a tre anni fa. Un cessate il fuoco che si è spento tra accuse reciproche l’autunno scorso. Poi la guerra lampo dei ribelli, anzi delle forze speciali ruandesi. Adesso pattugliano, soddisfatti nelle loro belle divise nuove, con armamenti high-tech made in Usa, le strade della città. Non c’è più bisogno di nascondersi.A Goma ero dieci anni fa: stessi campi paura sospetto speranza svanite stanchezza soffocante odore della miseria lunghe file di uomini e donne che deambulano senza scopo, lo sguardo spento. Camminano sulla pelle rugosa della lava, il ricordo della ultima catastrofica eruzione vulcanica. È materia così dura che non puoi scavare, piantare niente. I tremila metri desolati del vulcano Nyiragongo incombono in ogni parte, ti minacciano, ti tolgono il respiro e assorbono lo sguardo. A Kibumba, vicino a un vecchio cimitero, ci sono i fuggiaschi dalla regione di Ruschuro, il vulcano li ha guidati come una boa... coraggio... a Goma forse c’è la fine del viaggio… Sono usciti dalla foresta e hanno trovato davanti a sé i teloni e le baracche di quelli delle guerre e delle fughe più vecchie. Ecco: come se avessero davanti una immensa città di stracci blu stesi ad asciugare, il loro futuro il loro destino.A Ovest sono quelli che arrivato da Masisi e gli ultimi, i fuggiaschi di Saké, la città a venticinque chilometri da Goma. I ruandesi l’hanno presa cinque giorni fa. Sono scappati sotto i proiettili di mortaio, stanno in un angolo, li riconosci perché non hanno nulla, né teloni né cibo.I soldati e gli ufficiali dell’esercito congolese sono fuggiti nella notte. I battelli sul lago Kivu hanno fatto avanti e indietro senza sosta con l’altra sponda. Nessuno dei rifugiati contava su di loro. Sperare che ti difendano militari a cui nessuno dà il soldo, che sopravvivono saccheggiando… Nel 2012 Goma era già caduta e l’esercito si era disfatto in poche ore. Ma c’è chi è fuggito prima di loro, i mercenari rumeni della “Congo protection force”, una compagnia privata di scalcinati contractor per guerre di poveri. Anche questo è il Congo. Perché farsi ammazzare per il Kivu, per gente che paga così poco? hanno combattuto solo le milizie locali “wazalendo’’. Adesso sono seduti a terra in lunghe file quiete nello stadio trasformato in campo di prigionia.Se avete dubbi sul fatto che la figura simbolo del terzo millennio sia il fuggiasco, se non vi bastano Gaza l’Ucraina il Sudan il Sahel, allora il Congo vi convincerà. Nel Kivu sono più di tre milioni gli sfollati. Tutti vi racconteranno la stessa odissea: la marcia che non avrà nessuna voce che la renda una tragica, indimenticabile odissea, i bimbi sulle spalle, le donne che trascinano quello che si ha oh non è molto! una stuoia delle pentole un po’ di cibo, sulla pista da una parte e dall’altra eserciti di alberi imponenti, la foresta impenetrabile, misteriosa, crudele che si sparpaglia, si stanca e rallenta solo sulle sponde del lago.E le notti nei campi? Chi le racconta? Quando scende il buio un silenzio di morte, spari, tragedie senza nome, uomini armati (soldati? disertori?, ribelli? banditi di uno dei centotrenta gruppi armati di questa zona? c’è anche l’Isis), che vengono a prelevare il cibo degli aiuti umanitari e donne da violentare. Il governo, a tremila chilometri da qui, non ha alcun interesse per questa gente. Anzi, usa i profughi per pretendere aiuti che finiscono nelle tasche dei politicanti di Kinshasa e poter accusare il Ruanda.Adesso le maschere son cadute. Niente più guerriglieri dalle sigle misteriose. Il regime tutsi di Kigali non si nasconde più. A luglio dello scorso anno un rapporto Onu parlava chiaro: è il Ruanda che utilizza e comanda il movimento M23. Il Consiglio di sicurezza ridusse tutto al meno impegnativo “forze esterne…”. Il Ruanda si è già impadronito dei minerali rari di questa parte del Congo, ora passa alla seconda fase, l’annessione dei territori del Kivu. Il pretesto è “la sicurezza”, ragione universale di tutte le prepotenze: dobbiamo dare la caccia ai gruppi armati hutu rifugiati nel Kivu dopo la guerra civile e che vi hanno posto ben armate radici, abbiamo il diritto di difenderci. I prussiani d’Africa, il furbo e implacabile autocrate tutsi Paul Kagame, usano il ricatto del genocidio degli Anni Ottanta per coprire l’ avido imperialismo del Paese più dinamico, sovrappopolato e senza risorse naturali dell’Africa dei Grandi laghi. L’Occidente che non fece nulla per fermare il massacro di ottocentomila tutsi lascia fare: ha paura dei rimorsi. Una storia che ha vasti echi. E allora: c’è un vicino immenso ma debole e corrotto, un forziere di ricchezze: Che le sfrutti il migliore!Nel caos senza regole del dopo ucraina e del mondo di Trump è il momento anche qui di saldare i conti, modificare i confini, arraffare.