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 2025  gennaio 29 Mercoledì calendario

Quei "trumpiani" in Vaticano


«Personalmente preferisco Donald Trump a Joe Biden». Anche se il primo è protestante e il predecessore cattolico? «Meglio un buon protestante che un cattivo cattolico…».
Il cardinale Gerhard Müller, arcigno ex custode della dottrina cattolica, ufficializza la prima uscita del «partito trumpiano» nella chiesa di papa Francesco. A sentire questo teologo tedesco, critico costante ma leale del papato, «molti cardinali e vescovi la pensano come me, anche se hanno paura di dirlo. E negli Stati uniti la percentuale è perfino superiore». Nelle ultime elezioni presidenziali il 56 per cento del voto cattolico andato al miliardario, invertendo di 15 punti la tendenza di quattro anni prima.
Ma l’impressione è che i risultati del 6 novembre scorso abbiano portato in superficie una sorta di mondo sotterraneo e parallelo, con un’impronta fortemente conservatrice, rimasta finora annidata nella pancia dell’America e del mondo cattolico occidentale. È un universo potente finanziariamente; influente nelle università, nei centri studi, in reti televisive come la Ewtn, il network della «eternal word», la «parola eterna», di cui Trump e il suo vice, il cattolico dell’ultradestra James David Vance, sono i campioni. Ora che Trump è stato eletto, affiora come una realtà che finalmente può esprimersi a voce alta contro aborto, immigrazione, e contro quella «correttezza politica» vista come fonte di confusione e di relativismo: da consegnare al passato insieme con i democratici.
Müller mostra una foto che lo ritrae col neopresidente nel 2022 al Trump National Golf Club di Bedminster, a quaranta minuti di auto da Manhattan. E racconta la conversazione con lui, fermandosi solo quando gli si chiede se e come gli parlò Francesco. Ha anche incontrato l’attuale vicepresidente Vance a casa del cardinale di New York, Timothy Dolan, uomo-ombra del fronte cattolico conservatore. E un paio di anni fa ha incrociato a Roma il futuro ambasciatore Usa presso la Santa Sede, Brian Burch, presidente di Catholic Vote, la lobby elettorale che ha portato milioni di consensi a Trump negli Stati-chiave: un personaggio indicato come un sostenitore degli avversari più tetragoni del Pontefice argentino.
È vero che già durante il primo mandato di Trump i rapporti tra Casa Bianca e Roma papale furono tesi. Francesco allora definì «non cristiano» chi costruisce muri per fermare gli immigrati: una critica che non bastò a evitare l’elezione del miliardario. E stavolta che oltre ai muri Trump ha iniziato vere e proprie deportazioni di «clandestini» provenienti dall’America Latina, i vescovi Usa hanno espresso la propria preoccupazione. È toccato a Timothy Broglio, presidente della conferenza episcopale e ordinario militare, dare voce il 23 gennaio al timore di «conseguenze negative sui più vulnerabili»: anche per la decisione di arrestare gli immigrati vicino alle chiese. Ma Vance ha risposto con durezza che, siccome «ricevono 100 milioni di dollari per aiutare gli immigrati illegali», a muovere i vescovi Usa sarebbero «le loro tasche». Questa asprezza bilancia, non cancella le inclinazioni di molti prelati americani, e non solo, che vedono in lui un baluardo contro le leggi abortiste.
La tv Ewtn ha mostrato una foto di Trump che firmava uno dei suoi «ordini esecutivi». Ma non quello contro le deportazioni degli immigrati. Si riferiva al divieto di dare fondi governativi a chi promuove l’aborto. E alla «marcia per la vita» del 25 gennaio a Washington si chiedeva di rendere l’aborto «impensabile». Per quanto contraddittorio e imprevedibile, il neopresidente è riuscito a presentarsi come quel «male minore» rispetto a Kamala Harris che Francesco aveva additato in vista del voto americano, senza specificare quale fosse.
Ma il rapporto con il Vaticano promette di essere più assertivo. D’altronde, nel 2016 Trump era approdato alla Casa Bianca a sorpresa. Adesso ha dietro il voto popolare e una squadra ideologica agguerrita. E può sfoggiare istinti più aggressivi rispetto a un Papa indebolito. Burch nel 2023 accusò Francesco di «fare confusione» permettendo ai preti di legittimare le unioni gay. E disse che il successore dovrà «fare chiarezza».
«Mi hanno detto che Burch è un buon cattolico. E Trump aiuterà la Chiesa perché rappresenta i valori del diritto naturale: inviolabilità della vita, importanza del matrimonio, libertà religiosa», elenca Müller. «E persegue l’idea di uno Stato che non si intromette in ogni campo della vita. Anche sugli immigrati bisogna distinguere. Se manda via dei criminali, è un bene. Se li espelle in quanto stranieri, no».
Nelle sue parole spiazzanti si indovina la piattaforma culturale di una sorta di «Internazionale cristiana» negli Usa e in Europa a difesa della tradizione; ostile ai «supermiliardari opportunisti alla Musk»; nemica dichiarata della «Cina comunista che fa soffrire i buoni cattolici», accusa Müller. E soprattutto decisa a pesare dall’esterno sugli episcopati e magari sul prossimo Conclave, quando ci sarà.