Avvenire, 28 gennaio 2025
Gaza, respinti i piani di Trump
Se non fosse un bluff sarebbe una svolta. Nel giorno in cui Trump – respinto – propone una deportazione di massa dei palestinesi della Striscia verso Egitto e Giordania, Hamas fa sapere che non intende necessariamente governare Gaza dopo che la guerra sarà finita. Moussa Abu Marzouk, alto funzionario del politburo del gruppo islamista, ai microfoni di al-Arabiya
ha fatto sapere di come Hamas sia consapevole che il futuro governo della Striscia avrà bisogno del sostegno sia regionale che internazionale, «tra cui quello del presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Mahmoud Abbas». Per la prima volta Abbas (Abu Mazen) viene chiamato in causa dai fondamentalisti che proprio contro l’Anp avevano fondato il loro potere nella Striscia.
Tocca a mediatori e intelligence pesare queste affermazioni e calibrare le risposte ad Hamas. Intanto in Cisgiordania ieri sono stati uccisi dai militari israeliani due giovani palestinesi accusati di appartenere a gruppi armati. Ancora più a settentrione le forze di Tel Aviv hanno fatto 24 morti nel sud del Libano. Il cessate il fuoco, però, tiene. Il premier dimissionario di Beirut, Najib Mikati, ha accettato la richiesta israeliana di prolungare l’occupazione nel sud del Paese fino al 18 febbraio. Mentre il presidente Trump ha provocato un terremoto di reazioni alla sua proposta di allontanare i palestinesi di Gaza: «Ripulire l’intera area». Non solo per rimuovere le macerie di 15 mesi di guerra e trasformare l’enclave palestinese in un eldorado vacanziero, com’è nei piani dei coloni fanatici israeliani e come piacerebbe allo stesso Trump, che con una frase ha irritato l’intera regione e messo a repentaglio la tregua. «Ripulire» soprattutto dei palestinesi. Che una simile prospettiva possa mettere a rischio la prosecuzione della tregua e il rilascio degli ostaggi israeliani è stato confermato da Bassem Naim, membro dell’ufficio politico di Hamas: «I palestinesi sventeranno tali progetti», come hanno fatto con analoghi piani «nel corso dei decenni». E la Jihad islamica palestinese, che ha combattuto a fianco di Hamas a Gaza, ha definito l’idea di Trump «deplorevole». L’accordo per una tregua prevedeva il rilascio di 33 ostaggi israeliani e la scarcerazione di circa 1.900 detenuti palestinesi nella prima fase di attuazione dell’intesa. Ad oggi sono stati rilasciati 7 israeliani e ieri Hamas ha confermato che 8 non sono sono più in vita. Giovedì la civile israeliana Arbel Yehud, per cui il governo Netanyahu si è battuto chiedendone il rilascio immediato, sarà liberata giovedì insieme al soldato Agam Berger e a un terzo ostaggio. Sabato, come previsto, verranno rilasciati altri 3 ostaggi. Da Ramallah il presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen ha condannato «qualsiasi progetto» per deportare la popolazione di Gaza al di fuori dell’enclave. Senza nominare il presidente Usa, Abu Mazen ha «espresso un forte rifiuto e una condanna di qualsiasi progetto volto a spostare il nostro popolo dalla Striscia di Gaza». Il popolo palestinese «non abbandonerà la sua terra e i suoi luoghi sacri». Di più: «Non permetteremo che si ripetano le catastrofi che hanno colpito il nostro popolo nel 1948 e nel 1967». La prima data è nota ai palestinesi come Nakba, la “catastrofe” che si riferisce ai 700mila palestinesi che fuggirono o furono cacciati da quello che oggi è Israele.
La guerra del 1967, durante la quale Israele conquistò Gerusalemme Est, vide altre centinaia di migliaia di sfollati palestinesi. Il ministero degli Esteri egiziano, che ha mediato per la tregua a Gaza, ha ribadito il «continuo sostegno alla fermezza del popolo palestinese sulla propria terra». Ha respinto «qualsiasi violazione di questi diritti inalienabili, sia attraverso l’insediamento o l’annessione della terra, sia attraverso lo spopolamento di quella terra del suo popolo attraverso lo spostamento, il trasferimento incoraggiato o lo sradicamento dei palestinesi dalla loro terra, sia temporaneamente che a lungo termine». Il presidente americano aveva lasciato intendere di averne parlato con il re di Giordania Abdullah. Il ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi ha però chiarito quale è stata la risposta del re: «Il nostro rifiuto dello spostamento dei palestinesi è fermo e non cambierà. La Giordania è per i giordani e la Palestina è per i palestinesi». Dura la Lega Araba: «Lo spostamento degli abitanti di Gaza è pulizia etnica». «Si parla probabilmente di un milione e mezzo di persone, e noi ci limitiamo a ripulire l’intera area», ha ribadito Trump sostanzialmente proponendo di portare il numero di palestinesi gazawi (2.4 milioni prima della guerra) a meno di 1 milione. L’Egitto aveva precedentemente messo in guardia contro qualsiasi «spostamento forzato» di palestinesi da Gaza nel deserto del Sinai, che secondo il presidente al-Sisi potrebbe mettere a rischio il trattato di pace firmato dall’Egitto con Israele nel 1979. In Giordania, oltre che una questione di principio, sarebbe un problema di stabilità. Secondo le Nazioni Unite Amman su 11 milioni di abitanti ospita già circa 2,3 milioni di rifugiati palestinesi registrati.
Perciò c’è la proposta della Casa Bianca sia un modo per mascherare la spartizione di Gaza e la riscrittura dei difficili equilibri nell’intera fascia mediorientale.