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 2025  gennaio 27 Lunedì calendario

Mariann, la vescova che non s’inchina a Trump

Il primo pensiero, da cattolico, è stato un peccato di invidia: anche io vorrei una donna vescovo. Le ultime parole del sermone che la vescova episcopale di Washington, Mariann Budde, ha pronunciato di fronte all’appena incoronato Donald Trump sono state l’unica crepa (“C’è una crepa in ogni cosa, È così che entra la luce”, canta Leonard Cohen) in una giornata che sarà ricordata nella storia della caduta della democrazia in Occidente: “Mi permetta di fare un ultimo appello, signor Presidente. Milioni di persone hanno riposto la loro fiducia in lei. Come ha detto ieri alla nazione, ha sentito la mano provvidenziale di un Dio amorevole. In nome del nostro Dio, le chiedo di avere pietà per le persone del nostro Paese che ora hanno paura. Ci sono bambini transgender in famiglie repubblicane e democratiche che temono per la loro vita. E le persone che raccolgono i nostri raccolti e puliscono i nostri uffici; che lavorano nei nostri allevamenti di pollame e negli stabilimenti di confezionamento della carne; che lavano i piatti dopo che noi abbiamo mangiato nei ristoranti e fanno il turno di notte negli ospedali: possono non essere cittadini, o non avere i documenti in regola, ma la grande maggioranza degli immigrati non sono criminali. Pagano le tasse e sono buoni vicini. Sono membri fedeli delle nostre chiese, moschee e sinagoghe, gurdwara e templi. Abbia pietà, signor Presidente, di coloro che nelle nostre comunità hanno figli che temono che i loro genitori vengano portati via. Aiuti coloro che fuggono dalle zone di guerra e dalle persecuzioni nelle loro terre a trovare qui compassione e accoglienza. Il nostro Dio ci insegna che dobbiamo essere misericordiosi con lo straniero, perché anche noi un tempo eravamo stranieri in questa terra”.
La rabbiosa reazione di Trump (che su Truth ha chiesto le scuse della chiesa episcopale, e ha definito Budde “un’odiatrice di Trump, di sinistra radicale”, accusandola di “aver trascinato la sua chiesa nella politica, in un modo molto sgradevole nel tono, e non convincente o intelligente”) significa che egli l’ha ascoltata con attenzione, e ha capito. Ha capito che c’è qualcun altro che può parlare di Dio: più credibilmente di lui. La vescova non ha fatto un discorso politico, ma puramente evangelico. Non ha contestato in alcun modo la strumentalizzazione di Dio con cui Trump si riempie oscenamente la bocca in ogni momento, né ha messo in discussione la tesi paranoica, ripetuta nel discorso di investitura, per cui Dio l’avrebbe salvato dalle pallottole per permettergli di rendere di nuovo grande l’America. Anzi: ha detto a Trump che proprio perché egli ha beneficiato della misericordia di Dio, ora deve a sua volta mostrare ‘misericordia’, la parola chiave della fine dell’omelia. Il Gesù del Nuovo Testamento ha a cuore i miseri, i più poveri e fragili: proprio ciò che Budde chiede a Trump. Nel Vangelo non si parla di cuore: semmai di viscere. Gesù sente, letteralmente, il movimento delle proprie viscere (“splancna”, in greco). Nella città di Nain vede una madre vedova che porta alla sepoltura il suo figlio unico: senza che nessuno gli chieda nulla, Gesù si avvicina e lo resuscita, perché “le sue viscere lo avevano portato verso di lei” (Luca 7). Lo stesso avviene per i due ciechi di Gerico (Matteo 20). E quando il lebbroso gli grida: “Se vuoi, puoi guarirmi”, è il movimento delle viscere che trascina Gesù a rispondergli, di getto, “Lo voglio, guarisci!” (Marco 1). Ma questo Gesù visceralmente misericordioso non lo vediamo nell’iconografia, anche se è lui stesso a suggerire alcune immagini: “Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina la sua covata sotto le ali, e voi non avete voluto!” (Luca 13). Se abbiamo infinite rappresentazioni di un Gesù-pellicano che si squarcia il petto per nutrire i piccoli (trasparente allegoria della Passione), non abbiamo nemmeno un Gesù-chioccia: perché un Cristo femminile, uterino, era impensabile per il potere maschile del clero. Oggi lo vediamo: nelle parole di questo vescovo americano, che non per caso è una donna. Le sue parole mettono in discussione il cuore stesso del trumpismo: maschio, violento, giudicante, insensibile all’enorme ondata di dolore e sofferenza con cui gli ordini esecutivi del presidente travolgeranno i più piccoli e i più poveri degli americani (quelli che lo sono di fatto, ma non legalmente; quelli ‘diversi’, in tutti i sensi…). Anche da noi gli atei devoti (in politica e sui giornali) fanno a gara nell’esaltare l’eredità cristiana, usandola come una clava d’odio. Non citano mai il Vangelo, hanno in mente solo la violenza dell’Antico Testamento, rivolto a chi aveva un cuore di pietra: ma dimenticano che anche lì i profeti alzavano la voce per denunciare instancabilmente il tradimento dei re e dei capi del popolo. Perché almeno fosse chiaro che no, i capi delle nazioni non parlano a nome di Dio.