il Fatto Quotidiano, 27 gennaio 2025
L’inutile tetto al prezzo del gas
L’Unione europea non prorogherà il tetto al prezzo del gas. La conferma è arrivata la scorsa settimana da una dichiarazione della portavoce di Dan Jørgensen, commissario per l’Energia. Istituito nel dicembre del 2022 dopo lunghe trattative, il tetto al prezzo del gas a 180 euro a MWh è entrato in funzione nel febbraio 2023, ma non ha mai veramente funzionato. Nessuno si accorgerà della sua fine visto che il valore soglia che era stato fissato si è dimostrato troppo elevato per fare seriamente da calmiere.
Pensato quando i prezzi a Mwh superavano i 300 euro, in una condizione di eccezionalità scaturita dall’invasione russa in Ucraina, dalle conseguenti sanzioni e dal sabotaggio del gasdotto NordStream, il mercato ha poi trovato nel corso del 2023 un suo equilibrio, più o meno stabile, tra i 40 e i 50 euro, circa doppi rispetto alla media del periodo precedente il 2022. Pur riconoscendo che il mercato poteva non funzionare in modo corretto, l’asticella è stata fissata così in alto per intervenire solo in casi eccezionali. È così stato introdotto un principio tuttora valido: date le tensioni dovute alla crisi ucraina, occorreva uno strumento che permettesse di contenere i costi dell’energia, costi che non solo gravano sui bilanci familiari, ma da cui dipende parte della competitività di quello industriale.
Come detto, l’attuale prezzo di 50 euro a MWh rimane storicamente molto elevato e molto più alto, oltre tre volte, di quello del Nord America: competere a queste condizioni, soprattutto per le imprese energivore, è sempre più complicato. Inoltre, dato che il mercato dell’energia elettrica è di fatto collegato a quello del gas, un gas più caro vuol dire anche elettricità più cara, soprattutto in Paesi come l’Italia, dove la domanda marginale di elettricità è quasi esclusivamente coperta con la produzione a gas. L’effetto paradossale è che, nonostante stia continuamente aumentando la quota di copertura del fabbisogno energetico nazionale da parte delle più convenienti rinnovabili, l’utenza finale non riesce a fruire di alcun beneficio in termini di prezzo, che rimane ancorato a quello del gas. Un prezzo del gas che, come si rileva dall’ultimo rapporto dell’Agenzia internazionale sull’energia, nel breve termine è destinato a rimanere sotto tensione. Il calo drastico delle forniture via tubo da parte della Russia alla Ue ha prodotto uno sconquasso nel mercato internazionale del gas naturale liquefatto (Gnl) che non è stato ancora riassorbito.
L’import di Gnl in Europa è di colpo aumentato, mentre l’offerta non è riuscita a tenere il passo, ciò ha fatto lievitare i prezzi internazionali e aumentare il potere degli speculatori. Il mercato rimane in tensione, l’inverno più freddo della media ha fatto diminuire le scorte più velocemente e anche piccole variazioni di domanda e offerta possono avere significativi effetti sui prezzi. Le scorte, almeno per l’Italia, assicurano che non ci saranno problemi di mancanza di gas nell’immediato futuro. Dovremmo uscire dalla stagione fredda con dei depositi in linea con la media degli ultimi 5 anni, ma inferiori allo scorso anno. Il rischio è che si ripresenti una situazione analoga all’estate del 2022, quando per rispettare gli obblighi di riempimento degli stoccaggi al 90%, i Paesi Ue si sono scannati in aste sul mercato del Gnl che ne hanno fatto esplodere il prezzo.
In questa situazione, col rischio di forti fiammate estive dei prezzi, da più parti si è tornati a chiedere meccanismi che possano correggere gli eccessi, magari che possano davvero entrare in funzione stavolta. Per il ministro Gilberto Pichetto Fratin il nuovo price cap va fissato tra 50 e 60 euro, stesso livello proposto da una coalizione di europarlamentari di sinistra. La Commissione Ue ha fatto sapere che a fine febbraio presenterà un piano d’azione per poter rendere l’energia disponibile a prezzi accessibili in tutta l’Ue, ma senza indicazioni chiare sulle misure che verranno prese.
Imporre un tetto al prezzo sufficientemente basso rimane una scelta complicata, perché potrebbe scoraggiare sia i produttori a rifornire il mercato europeo che i trader a offrire strumenti di copertura dal rischio prezzo. Il prezzo del Gnl è di fatto internazionale, dove le variazioni tra aree geografiche dirottano i flussi di offerta e riequilibrano il mercato. Se l’Ue imponesse un prezzo molto più basso di quello internazionale ci potrebbe essere il rischio di non attrarre sufficienti quantità per servire tutta la domanda e dover ricorrere al razionamento dell’offerta. Il calmiere europeo potrebbe funzionare solo fiscalizzando (cioè facendo pagare agli Stati) la differenza di prezzo rispetto a quello internazionale, un costo che potrebbe diventare insostenibile per alcuni.
Oltre a calmierare il prezzo del gas si potrebbe pensare a estendere a tutta l’Ue l’esperienza fatta nella penisola iberica per disaccoppiare il prezzo dell’energia da quello del gas. Il “meccanismo iberico” prevedeva l’applicazione di un tetto al prezzo del gas utilizzato per la produzione di energia elettrica. In questo modo, superata una certa soglia, il prezzo marginale dell’elettricità non è più legato a quello del gas ma calmierato al livello del “cap”. Secondo il governo spagnolo, questa misura ha fatto risparmiare agli utenti finali circa 5 miliardi di euro nel periodo di maggior stress, tra giugno 2022 e gennaio 2023, evitando all’economia iberica la seconda fiammata inflattiva del 2022. Il problema in questo caso non è tanto la fiscalizzazione del costo, che resta a carico della clientela, ma del fatto che un prezzo dell’elettricità calmierato potrebbe disincentivare gli investimenti in fonti di produzione più economiche (le rinnovabili).
Ci sono certo problemi e distorsioni che accompagnano questi meccanismi di correzione del mercato, ma occorre far qualcosa. Se l’Unione europea vuol recuperare competitività, come a parole dicono tutti, non basta solo un ambiente favorevole e importanti investimenti, serve anche che le fonti di approvvigionamento energetico siano affidabili in termini di quantità e a costi quanto più contenuti. Tensioni di prezzo come quelle delle ultime settimane dimostrano che il lavoro fatto dalla crisi energetica del 2022 non è stato per niente sufficiente.