Il Messaggero, 27 gennaio 2025
Un campione del tennis diventato brand per gli italiani
Non soffermatevi sui particolari. Avrà pure capelli da irlandese, carnagione scandinava, gambe da fenicottero africano, braccia da contorsionista caucasico e inflessione palesemente tedesca, ma Jannik Sinner ormai è il nuovo brand in cui ogni italiano ha scoperto di riconoscersi. Con la vittoria di ieri in Australia, infatti, il campione di San Candido pare divenuto il paradigma di una identità nazionale in grado di diventare copertina di un Paese che ama spesso lucidare i fantasmi del passato. Del resto, se Winston Churchill sapeva ironizzare sul fatto che «gli italiani combattono le guerre come se fossero partite di calcio e giocano partite di calcio come se fossero guerre», non meraviglia che lo sport sia stato spesso chiamato a svolgere una funzione da collante quando l’attualità regalava problemi.
Non è un caso che non si sia mai sopita l’aura leggendaria capace di decretare che la vittoria di Gino Bartali al Tour de France nel luglio del 1948, avesse evitato all’Italia di precipitare nella guerra civile dopo l’attentato a Palmiro Togliatti. Si parlò di una telefonata del Presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, all’ormai 34enne ciclista toscano per spingerlo all’impresa, così come della richiesta assai naïf dello stesso Bartali, a trionfo avvenuto, di non pagare più le tasse. In questo senso Sinner si è già portato avanti, avendo preso da tempo la residenza a Montecarlo. Ma pensateci: c’è un desiderio così spiccatamente italico come quello di non avere voglia di pagare tasse esose? E allora, se una volta con l’etichetta di Arcitaliano si identificava un intellettuale del calibro di Curzio Malaparte, con il tempo è stato lo sport a fornire i personaggi in cui riconoscerci, in un florilegio di colori con cui abbellire la nostra vita.
L’azzurro della Nazionale di Enzo Bearzot, ad esempio, nel 1982 ha trascinato in strada un Paese che voleva mettersi alle spalle gli Anni di Piombo, così come quello acquoreo di Federica Pellegrini ci ha regalato la certezza che una penisola distesa a galleggiare nel Mar Mediterraneo potesse dominare nel nuoto. Tempi diversi, come quelli del bianco nevoso di Alberto Tomba, che tra vittorie e sberleffi ha rinverdito sulle piste da sci il mito gigionesco della commedia all’italiana, proprio pochi anni prima che il giallo della bandana di Marco Pantani ci ricordasse come nel frinire delle ruote dei ciclisti si racconta ancora l’epica del successo sempre ad un passo dal dramma. Prima di Sinner, però, il colore ciliegia come simbolo dell’Italia è stato associato al cognome di Valentino Rossi, che ha rombato nel nostro immaginario anche fuori dalle piste di motociclismo, e soprattutto alla Ferrari, passione senza riferimenti geografici al di fuori dell’Italia. Avrà pure sede legale in Olanda, speranza di resurrezione a Montecarlo e in Inghilterra (Leclerc e Hamilton) e mitologia recente in Germania (Schumacher), ma il quinquennio dominante del Cavallino Rampante tra il 2000 e il 2004 ha rappresentato il benvenuto dell’Italian Style al Terzo Millennio, quello della comunicazione globale. Non sorprendiamoci, perciò, che stelle come Giacomo Agostini e Gustavo Thoeni possano scolorire nella nostra memoria prima di questi brand che, al di là dello sport, hanno saputo raccontare l’Italia anche come modello di Paese. Adesso è il momento di Re Sinner, della sua forza e del suo sorriso cavalleresco che ci ha fatto riscoprire il tennis. Ma forse sarà merito del nostro codice genetico. Nella sua storia, in fondo, l’Italia anche nei momenti dei rovesci ha saputo trovare spesso dei favolosi dritti vincenti.