Corriere della Sera, 27 gennaio 2025
Il diario di Andrea Rizzoli, figlio di Eleonora Giorgi
Andrea Rizzoli è figlio di Eleonora Giorgi e di «Angelone» Rizzoli, già editore del Corriere della Sera e produttore cinematografico scomparso nel 2013. Ha 44 anni, fa l’autore per Warner Discovery e domani debutta in libreria per Piemme con Non ci sono buone notizie, il memoir nel quale racconta l’«anno più bello» di sua madre, «nonostante tutto». Dove «tutto» è il tumore al pancreas scoperto all’indomani del settantesimo compleanno dell’attrice, le visite per capire cosa fare, i viaggi a Milano per la diagnosi e le prime cure, il corpo di lei che assume i colori delle donne dorate di Klimt per poi virare sui toni di Caravaggio, la chemioterapia, l’intervento, la speranza che dura un soffio e poi giù, il crollo sul precipizio delle metastasi. È un diario che ha scritto per sé, e si capisce. Ma è un racconto che riguarda i tantissimi che affrontano lo stesso percorso, nell’altalena tra disperazione e speranza sulla quale sono costretti a salire sia i pazienti oncologici che i loro familiari. Non a caso, lui ha dedicato il libro «ai coraggiosi obbligati a lottare per la loro vita e a coloro che coraggiosamente scelgono di restargli vicino».
Andrea, cosa ha preso dai suoi genitori?
«Da mia madre la rapidità di ragionamento e una certa forma di empatia, che non mi fa mai andare in contrasto con gli altri. Da mio padre il carattere, quel tipo di forza che prevale sul talento, se il talento è privo di carattere».
Scelga un’immagine di loro due insieme.
«Non ne ho molte, perché si sono lasciati quando avevo tre anni. Mi viene in mente il giorno della mia laurea, alla Luiss a Roma».
Allora separiamoli. Un ricordo di suo padre?
«Uno molto emozionante l’ho recuperato grazie a mia madre. Prima di fare l’intervento al pancreas, la scorsa primavera, ha regalato a me e a mio fratello due walkman con altrettante cassette. Nel mio c’era la voce di mio padre che mi incoraggiava a pronunciare la parola mamma: ero piccolissimo. Mi ha molto commosso. Papà mi ha sempre stimolato usando la psicologia inversa».
Cosa vuol dire?
«Non mi diceva: leggi questo libro su Federico II perché è bello. Mi chiedeva, piuttosto: sai perché Federico II è stato importante? E giocando sulla mia ignoranza, mi spingeva a colmarla».
Un vostro momento felice?
«Quando mi portò a Barcellona per la finale di Champions e il Milan vinse 4-0. Alla fine sbagliammo uscita e ci ritrovammo in un parcheggio pieno di torpedoni di tifosi, senza sapere dove andare. Eppure in qualche modo riuscimmo a raggiungere Berlusconi e la squadra per festeggiare. Lui aveva già la sclerosi e camminava con fatica. Ho apprezzato molto i suoi sforzi per fare una cosa speciale con me».
Adesso uno con sua madre.
«Devo ammettere che la condividevo mal volentieri con il pubblico e le lasciavo letterine strazianti sotto la porta della sua stanza per chiederle di non andare sul set, ma di restare con me. Una mattina lo fece: io bigiai la scuola e lei il lavoro, e andammo alla Galleria Borghese a vedere Apollo e Dafne. Ci siamo ritornati da poco».
Con due genitori così avrà conosciuto persone straordinarie.
«Grazie a mio padre, mi viene in mente Craxi. Ai tempi io ero un bambino e di politica non capivo nulla, ma percepivo lo stesso l’aura che lo circondava, era di una intelligenza incredibile. Ricordo quando venne ospite da noi a Porto Santo Stefano. Una mattina, lessi sul Televideo la notizia della caduta dell’impero sovietico e corsi su a svegliarlo, perché ancora dormiva. Lui tuonò: Andrea se è una bricconata, ti prendo a scapaccioni!».
E da sua madre, chi veniva?
«Molti artisti. Pino Daniele mi lasciava giocare con la sua chitarra, anche se è Andrea De Carlo che mi ha insegnato a suonarla, quando lui e mamma stavano insieme. Una volta a Sabaudia venne Michele Placido e quando me lo trovai di fronte gridai che era arrivato il Commissario Cattani: erano i tempi della Piovra».
L’attore che l’ha emozionata di più?
«Ho un ricordo personale con Mastroianni. Eravamo in Marocco per un film e io ero chiuso in una roulotte. Siccome mi annoiavo, giocavo a palla. A un certo punto sento bussare forte alla porta, apro e me e lo trovo davanti: “Bimbo, il cinema è aspettare!”. E poi va via sbattendola».
Ha tre fratelli, che i suoi genitori hanno avuto con altri partner. È stato geloso?
«No. Mio padre sposò in seconde nozze Melania Rizzoli, che lo ha molto amato e ancora tiene viva la sua memoria. Da quel matrimonio sono nati Arrigo e Alberto, che sento e vedo: l’ultima volta il 23 dicembre, per festeggiare Natale con le nostre compagne. C’era anche l’altro mio fratello, Paolo, con la moglie Clizia».
Il figlio di Eleonora Giorgi e di Massimo Ciavarro.
«Nel libro spiego bene il suo ruolo cruciale in questi mesi dopo la scoperta del tumore di mamma. Noi due siamo complementari, senza di lui non saremmo riusciti a fare così tanta strada, a dispetto del primo parere dei medici. E poi suo figlio Gabriele è una medicina vivente per nostra madre: cascasse il mondo, lei alle 17 lo deve vedere».
Quale prospettiva vi aspetta?
«Faremo il necessario affinché il tempo che le resta sia piacevole, ma non possiamo fare nulla per allungarlo. Ci siamo goduti ogni istante con una intensità prima inimmaginabile. E continueremo fino all’ultimo giorno».
Sua madre nel libro si rammarica di non aver comprato una casa né a lei né a suo fratello. Le è dispiaciuto?
«No, io la vedo come Rousseau: ognuno deve essere artefice della sua fortuna».
Amici e musica
Pino Daniele mi lasciava giocare con la sua chitarra, ma ad insegnarmi a suonarla fu Andrea De Carlo
Prima di salutarci le chiedo che effetto le fa essere qui nella Sala Albertini del Corriere, un giornale così importante per la sua famiglia.
«Il Corriere è sempre stato per me un luogo leggendario. Provo un pizzico di orgoglio per aver fatto parte della sua storia, nel bene e nel male».