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 2025  gennaio 26 Domenica calendario

L’Ue, il banco di prova di Trump

Adesso che il genio ribelle è uscito dalla lampada, non sarà facile rimetterlo dentro. E non è un genio qualsiasi. L’insediamento di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti sta avendo effetti dirompenti sull’America stessa, sull’Europa che va disunendosi più di quanto già lo fosse, e in generale sugli equilibri precari su cui si stava reggendo il mondo. Sterzata a destra sui diritti civili, indebolimento degli organismi internazionali, presa in carico risoluta e unilaterale dei conflitti che infiammano, senza che nessuno sia fin qui riuscito a spegnerli, Russia-Ucraina e Medio Oriente.
Dazi più salati per i Paesi ostili, a cominciare da Cina, Messico e Canada; aperture di credito ai governi amici, tra cui va di certo annoverata l’Italia, grazie alle affinità elettive con la nostra presidente del Consiglio. «Giorgia Meloni mi piace molto», ha detto Trump dopo averla invitata, unico premier europeo, alla cerimonia della sua consacrazione a quarantaseiesimo successore di George Washington.
È passata appena una settimana da quel D-Day, il secondo sbarco di The Donald alla Casa Bianca, ma le ripercussioni di questo minimo lasso di tempo vanno molto al di là del previsto. Aveva minacciato il pugno duro contro i migranti illegali ed eccolo postare la foto di cittadini non in regola ammanettati e in catene, spinti a salire su un cargo militare con questo foglio di via: «Promessa fatta e mantenuta. I voli di deportazione sono iniziati». Deportazione, letterale, come nei lager o nei gulag. Appena seduto nello Studio ovale ha graziato gli oltre 1.500 assalitori di Capitol Hill, condannati per il più grave attentato alla democrazia dell’intera storia americana. Lo stesso ha fatto per 23 attivisti anti-aborto che avevano impedito l’accesso alle cliniche che lo praticavano. A Mariann Budde, donna vescovo della Chiesa episcopale, che dal pulpito della cattedrale di Washington gli ha chiesto pietà «per bambini gay, bambine lesbiche e giovani persone transgender che vivono nelle famiglie democratiche, repubblicane e in quelle indipendenti, e adesso temono per le loro vite», ha risposto con una smorfia, ribadendo che d’ora in avanti ci sarà posto solo per due generi: maschile e femminile. Gli accordi di Parigi per curare il Pianeta prima che sia troppo tardi? Disdettati all’istante perché «quella verde è una truffa, l’industria green un imbroglio, la gente compri l’auto che vuole». L’adesione all’Oms, l’Organizzazione mondiale per la sanità? Ritirata, no ai baracconi sovranazionali e, quanto alla tutela della salute planetaria, provveda chi ha i soldi per garantirla. Sintesi da lui stesso regalata alla platea plaudente del Forum di Davos: «Stiamo facendo la rivoluzione del buon senso». Ovvero, libertà dalle regole e anche dalle «insensate attenzioni su diversità e inclusione».
Rispetto al 2017, quando vinse a sorpresa le elezioni contro la favorita Hillary Clinton, stavolta il super uomo del Maga ( Make America Great Again ) è arrivato preparato alla Casa Bianca, con faldoni di ordini esecutivi pronti per la firma e con uno squadrone di corazzieri che ha sbrigativamente preso il posto dell’intero staff del predecessore Biden. Se la prima volta era guardato con sospetto dall’aristocrazia digitale della Silicon Valley, adesso Trump ha provveduto per tempo ad arruolare i padroni della Rete, dei social, dei satelliti spaziali, ottenendo la loro pesante e plateale fiducia (anche in termini di sostegno finanziario). Lo dimostra la parata festante di tecno-oligarchi, Elon Musk in testa, all’incoronazione nella Rotonda del Campidoglio. Proclama del presidente imperatore: «L’età dell’oro inizia ora». Benissimo, ma per chi? Un’indicazione illuminante viene proprio da uno di loro, Peter Thiel, co-fondatore di PayPal e mago delle criptovalute: «La democrazia non è più compatibile con la libertà». Esattamente il contrario di quanto fin qui abbiamo pensato, per cui ci siamo battuti, il principio fondante delle società uscite dall’incubo del nazismo e dallo scempio della Seconda guerra mondiale. Sembra un’enormità, il paradosso provocatorio di un miliardario visionario. Rischia invece di essere il tema centrale dei prossimi anni. Quanta vita ha ancora la democrazia come sistema di governo a tutela della civiltà dei diritti ma anche dei doveri, che sono poi quelli che determinano il perimetro delle libertà nell’interesse prevalente del bene di una comunità e dei valori che la innervano?
Le prime mosse del secondo Trump hanno fatto da magnete al variegato pulviscolo di nuovi cavalieri che nella destra di lotta e di governo stanno trovando fertile terreno di consenso. Emblematico il discorso del presidente argentino Javier Milei, sempre a Davos, davanti ai rappresentanti dell’economia mondiale, impugnando idealmente la motosega che l’ha reso celebre in campagna elettorale: «Nell’ultimo anno ho incontrato tanti alleati: il meraviglioso Elon Musk, la feroce dama italiana (testuale, ndr ) Giorgia Meloni, il primo ministro ungherese Orbán e quello israeliano Netanyahu. A unirci, la difesa della libertà contro il cancro da estirpare: la sinistra woke. Dove per woke si intende fastidiosa, radical chic, ossessionata da ogni forma di discriminazione verso i meno protetti, l’ostacolo da rimuovere per procedere spediti sulla strada dell’ultraliberismo, l’ideologia «assassina» (testuale, ndr ) di cui «molti Stati e l’Unione europea sono stati il braccio armato». Nell’Argentina di Milei, il deficit è quasi azzerato, le aspettative di crescita aumentano, ma la povertà dilaga, raggiungendo vette mai raggiunte. «La rivoluzione del buonsenso» predicata da Trump ha già i suoi laboratori di sperimentazione, dove in pochi si arricchiscono molto e in tanti perdono anche il poco che avevano.
A parte la campagna di Groenlandia, per la quale Trump si è appena preso un «vaffanculo» (testuale, ndr ) dall’eurodeputato danese Anders Vistisen («è un pezzo integrante del nostro Paese da 800 anni»), e a parte le due guerre da risolvere («ci metterò 24 ore a farle finire», aveva assicurato il gran capo Usa, allargandosi un po’), il vero banco di prova del ciclone Trump sarà proprio l’Europa, al momento senza argini sufficienti a frenarne l’impatto. L’unica certezza, almeno secondo il commissario Ue per l’economia, Valdis Dombrovskis, è che nessuno ha il mandato per trattare a nome dei 27 Paesi dell’Unione. Ogni riferimento a Giorgia Meloni non è puramente casuale. Ma l’assedio della nuova America al vecchio continente delle democrazie potrebbe cominciare presto, col vantaggio di avere preziose sponde nel castello da espugnare e con l’intento di trasformalo in qualcosa di simile al Far West di una volta, senza stato né legge, se non quella del più forte. Avere paura di un simile rischio è il primo passo per attrezzarsi, se non a scongiurarlo, almeno a opporre una qualche forma di ragionata e anche appassionata resistenza.