La Lettura, 26 gennaio 2025
Taiwan, ecco chi non vuole altre dittature
C’è un versante geopolitico nella contesa tra Taiwan e Cina ma esiste un aspetto sociale e culturale non meno decisivo. Quella che nel 1949 fu una partizione della Cina – determinata dalla vittoria dei comunisti di Mao Zedong sul «continente» e dall’arroccarsi del nazionalista Chiang Kai-shek sull’isola – ha prodotto due società distinte. Entrambe all’interno di una sinosfera vasta e varia, hanno marciato in parallelo finché anche a Taipei, come a Pechino, era insediato un regime autoritario (di matrice opposta: parafascista). Tuttavia quando il figlio di Chiang, Ching-kuo, il 15 luglio 1987 abrogò la legge marziale, innescò il processo che ha portato Taiwan a essere ciò che è: democratica, consapevole di essere stata marginale nella Cina imperiale, attenta alle culture indigene, laica nel valutare le influenze sia della colonizzazione giapponese (1895-1945) sia dell’Occidente, demograficamente rinnovata rispetto alla generazione venuta dall’entroterra.È il mondo di Chi Ta-wei, nato nel ’72: è scrittore e docente, il suo Membrana, uscito in Italia tre anni fa per Add, è considerato un pilastro della fantascienza asiatica. Lo abbiamo interpellato.
Taiwan si è trasformata da Stato autoritario a democrazia in modo pacifico. Quant’è profonda la coscienza di questo risultato per nulla ovvio?
«Contesto la formula della “transizione pacifica verso la piena democrazia” di Taiwan. Quest’impostazione contiene una contraddizione fondamentale: l’enfasi sul mantenimento della pace ha di fatto ostacolato il percorso di Taiwan verso una democratizzazione effettiva. Mi spiego. La democratizzazione, in qualsiasi società, procede attraverso più fasi: un processo di decenni. Nel caso di Taiwan, mentre la nazione si muoveva verso una democrazia più completa, molti hanno fatto pressione su chi promuoveva le riforme perché rallentasse o interrompesse l’opera: temono che fare i conti con le ingiustizie dell’era pre-democratica e la responsabilità degli ex funzionari turbi la stabilità sociale. Sono le stesse persone che ricordano con nostalgia i vecchi tempi, quelli di Chiang, come un periodo di pace e ordine. Si tace sul fatto che quella “tranquillità” derivava dalla sistematica repressione del dissenso. La natura apparentemente “pacifica” della democratizzazione di Taiwan ha comportato costi nascosti e si sottovaluta la tutela di queste conquiste. Un malinteso che minaccia di incrinare le istituzioni democratiche costruite con tanta cura».
Taiwan è stata una dittatura del Kmt (il partito nazionalista, Kuomintang). Ora il Kmt è un partito tra gli altri. Per il Partito comunista un precedente da guardare con sospetto...
«Da com’è posta la questione sembrerebbe che Pechino preferisca il Kmt a qualsiasi altro partito di Taiwan... Io penso che Pechino non prediliga specificamente il Kmt o qualche partito in particolare a Taiwan. Preferisce ogni partito politico taiwanese disposto a collaborare docilmente con la Cina e pronto ad assumere il potere a Taiwan. Ciò spiega perché Pechino abbia cordialmente invitato altri partiti filo-cinesi, e non solo il Kmt, per incontri privati. Il Kmt non è l’unica opzione di Pechino».
Nel maggio 2019 Taiwan è stata il primo Paese asiatico a legalizzare i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Uno choc per una società impregnata di valori confuciani?
«Taiwan è sempre stata una società di immigrati, il che ha reso la sua gente più pragmatica e adattabile anziché rigidamente legata alle convenzioni tradizionali, compresi i cosiddetti valori confuciani. I taiwanesi comuni raramente discutono esplicitamente i valori confuciani: si concentrano su aspetti pratici come la pietà filiale e la continuità familiare. Il concetto di “valori confuciani”, poi, è in gran parte un costrutto accademico imposto da studiosi occidentali e asiatici piuttosto che una realtà vissuta dai taiwanesi. Il percorso verso la legalizzazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso a Taiwan illustra questo pragmatismo. Sebbene i fondamentalisti religiosi di varie tradizioni abbiano all’inizio espresso una forte opposizione, la loro resistenza è rapidamente svanita dopo la legalizzazione, quand’è stato chiaro che la legge portava benefici inaspettati alle strutture familiari tradizionali invece di indebolirle».
Come?
«Due esempi. Prima della legalizzazione, molti genitori anziani si preoccupavano per i loro figli apparentemente single che non mostravano interesse per il matrimonio tradizionale, temendo che sarebbero rimasti soli e senza figli. Dopo la legalizzazione, questi genitori hanno scoperto nuove possibilità: le figlie lesbiche ora potevano sposarsi e avere figli, portando gioia ai nonni che in precedenza pensavano che la loro linea familiare si sarebbe esaurita. Idem i genitori di figli gay: hanno trovato conforto sapendo che i loro figli avrebbero potuto formare unioni legali, garantendo sostegno nei loro ultimi anni».
Che cosa prova quando a Pechino i leader parlano di «riunificazione» e quando le esercitazioni militari si avvicinano a Taiwan?
«Come i miei familiari e i miei amici mi sento insieme infastidito e insensibile davanti a quest’esibizione di retorica. Le esercitazioni militari sono davvero terrificanti e irritanti, ma fanno anche sentire insensibili. Noi di Taiwan siamo come i sudcoreani con le minacce della Nord Corea: infastiditi e indifferenti».
La società taiwanese cambierebbe se arrivasse davvero la riunificazione.
«Decisamente. Permettetemi di concentrarmi sulle questioni Lgbt. Taiwan è attualmente uno dei Paesi asiatici più Lgbt-friendly, qui il matrimonio gay è legale. Al contrario, per la Cina sono criminali coloro che difendono i diritti Lgbt, compresi gli scrittori che descrivono le vite Lgbt, anche quando gli autori in questione pubblicano i loro romanzi queer-friendly fuori dalla Cina. La riunificazione sarebbe disastrosa per chi appartiene a minoranze sessuali, nonché per le famiglie e gli amici».
Come immagina Taipei e Taiwan tra dieci o vent’anni?
«Per molti autori di fantascienza viviamo già ora nel futuro. Sono d’accordo. A Taiwan stiamo sperimentando ciò che sarà tra dieci o vent’anni: le divisioni tra coloro che sono pro-Pechino e coloro che nei confronti di Pechino sono critici; la nostra vita manipolata da vari tipi di populismo e bombardata da influencer che, su social media di vario genere, sanno trarre vantaggio dal populismo. Una vita simile a quella dell’Ucraina prima dell’invasione russa».