Avvenire, 26 gennaio 2025
L’Onu: Africa epicentro di terrore
Marginale nell’agenda politica mondia-le, l’Africa subsahariana ha un primato non invidiabile: concentra il maggior numero di vittime civili di attentati terroristici e rimane per l’Onu «l’epicentro» del terrorismo globale. «Il 60% di tutti gli omicidi legati al terrorismo mondiale avvengono qui», in questo quadrante di 8 milioni di chilometri quadrati, crocevia di jihadisti filo-qaedisti (Jnim), di appendici dilaganti dello Stato islamico post-califfale, di rotte criminali ai primi interconnesse se non colluse con apparati corrotti di stati prevalentemente falliti: il terrorismo «si nutre di fragilità e povertà, disuguaglianze e disillusione», chiosa la vicesegretaria generale delle Nazioni Unite, Amina Mohammed, intervenendo in un dibattito al Consiglio di sicurezza. «Quando i finanziamenti allo sviluppo diminuiscono, quando istituzioni fragili sono accompagnate da una governance debole, quando le donne e i giovani sono esclusi dal processo decisionale, quando i servizi pubblici sono rari o ineguali si crea un ambiente fertile per la radicalizzazione e il reclutamento». Un reclutamento alimentato pure dai massacri e dagli abusi delle forze di sicurezza, dall’ipermilitarizzazione della repressione, necessaria ma spuntata nei suoi fini dall’oblio della dimensione politica della controinsurrezione: un errore commesso ieri dai francesi e dai delfini locali e oggi dalle giunte golpiste e dai loro padrini russi che sono enetrati nell’Africa subsahariana.
Dove sono i programmi di cooperazione civile- militare, il dialogo intorno alle rivendicazioni etnico-sociali, alla riconciliazione fra sedentari e nomadi e i piani antidesertificazione? Ricorda la vicesegretaria che, nel solo Sahel, il jihad ha fatto «oltre 6mila morti lo scorso anno, più della metà delle vittime totali». I dati dell’Onu sono allarmanti: descrivono il biennio scorso come testimone di un aumento del 250% di attacchi. Dal 2023, il Burkina Faso è in cima alla lista e si è confermato tale anche l’anno scorso, con oltre due terzi delle vittime. Dopo l’Opa russa, lo scenario è peggiorato, ma è da anni che il Paese non si solleva dagli abissi di un indice di sviluppo umano infimo: il dato relativo al 2022, l’ultimo fra quelli calcolati dal programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, parla di un 185esimo posto su 193 Paesi. Cerniera fra l’Africa costiera occidentale e il nord, il Burkina ha frontiere porose, come molti vicini: regioni marginali, spesso boscose, sedi di grandi parchi nazionali, scarsamente sorvegliabili. Il jihad si sposta, mobile, beffardo dei confini ufficiali: sta espandendo i tentacoli in Costa d’Avorio, Togo, Ghana settentrionale, punta la Mauritania, dissolve le parvenze statuali maliane e nigerine, contamina lembi di Ciad, colpisce nella regione dei Grandi Laghi e in Somalia. Corre parallelo all’irredentismo tuareg e all’indipendentismo dell’Azawad, compie attacchi transfrontalieri nel nord-ovest della Nigeria e nel pan-Sahel.
Abbacina, con messaggi politico-psicologici, pseudo-promesse di riscatto sociale e prospettive di guadagni superiori al reddito di chi abita per esempio il Sahel, inferiore a due dollari al giorno. È uno schema visto già nell’area afghano-pachistana, dove sia i taleban sia i qaedisti trafficavano in droghe, armi e pietre preziose, rapivano per estorcere denaro, riciclavano i proventi e compravano armi. Guerriglia e terrorismo africani agiscono similmente: proteggendo i traffici illeciti e riscuotendo la “zakat” (l’obbligo islamico di aiuto economico), «finanziano – ricordano gli esperti Onu – attacchi armati che minano la credibilità di istituzioni centrali in dissolvimento e in perdita di consenso per incapacità di garantire beni primari come la sicurezza e altri bisogni vitali, compresi l’istruzione e la crescita personali».