il Fatto Quotidiano, 26 gennaio 2025
Dario Ballantini a tutto campo
Congiunture astrali. “Sono nato lo stesso giorno, mese e anno di Marco Travaglio. Abbiamo fatto ueh, ueh nello tesso momento”.
Punti in comune con Travaglio?
Credo la mania di perfezionismo.
Lei, nel suo mondo, è celebre per il perfezionismo.
Sui trucchi lo sono.
È nato a Livorno.
Città che mi ha regalato un approccio alla vita centrato: non mi sento superiore agli altri, ma non penso neanche che gli altri lo siano rispetto a me.
In difficoltà mai.
Capita. Ma l’indole è sentirmi alla pari; detesto l’imbarazzo dei ruoli.
Come imitatore è considerato un numero uno.
Al massimo “portiere”.
(Dario Ballantini pennella parole, trucchi, smorfie, analisi psicologiche – “sono fondamentali” – tempi comici. E opere d’arte. Imitatore e artista, questo è. Imitatore da quaranta e passa anni, una lunga gavetta nel curriculum, i riflettori di “Striscia la notizia” a consacrarlo. Per sette anni è stato Valentino Garavani – “povero!” – poi Valentino Rossi, Ignazio La Russa, Matteo Salvini – “non mi piace” – e ancora un lungo elenco di presunte vittime. Ora è in tour teatrale con “Lo Spettacolo di Ballantini – conseguenze di 40 anni nei panni degli altri”).
Livorno città di tradizione comunista.
E di discussione politiche.
Tante?
Continue, con mio padre che lavorava per gli Editori Riuniti (allora casa editrice del Partito Comunista) ed era un cultore di Gramsci, Togliatti e di tanti altri; nella mia vita non ho letto tanto, ho appreso per osmosi.
Ha 60 anni…
Sono ancora giovane.
Sì, ma a 60 anni tutta quella “osmosi” cosa le ha insegnato?
Di come l’uomo è bravo a complicarsi la vita.
I suoi primi palchi?
Tante Feste dell’Unità e per quasi tutta la Toscana; (ci pensa) oltre al palco stavo spesso con mio padre dietro la bancarella dei libri; (cambia tono) aggiungo i nightclub.
Par condicio.
(Ride) Sono un essere ambiguo.
I night con le spogliarelliste?
Certo, e pure all’estero. Come in Svizzera.
Li ricorda bene.
Sì, per l’attività frenetica che c’era sotto al tavolo.
E con lei?
Non mi filavano tanto.
Dolore.
Ma come potevano? Avevo un repertorio composto da Dario Fo, Paolo Conte o Ray Charles: tutte imitazioni sofisticate, mentre quelli armeggiavano.
Niente applausi.
Ogni tanto, magari perché tra una cosa e l’altra si accorgevano di qualcuno sul palco.
Le spogliarelliste non distraevano pure lei?
(Sospira) Mica tanto, ho sempre avuto un approccio da perfezionista. Anche oggi vivo nel perenne stress di avere fatto tutto bene; (ci ripensa) oh, comunque non sono stato un santo.
Però è stressato.
Tra quadri e imitazioni non dormo la notte: rimugino.
Ossessivo.
I miei quadri sono ossessivi.
Il successo non attenua l’ossessione.
Ne ho parlato pure con gli psicologi. Il problema è che mi manca il divertimento.
Come mai?
È talmente alta l’osservazione da fuori, per risultare critico con me stesso, da non lasciarmi andare.
Mai?
Ho degli sprazzi.
Quando?
Negli anni di Valentino (Garavani) perché era un personaggio bizzarro e libero di improvvisare: era una specie di maschera di commedia dell’arte che si adattava a tutto; quella di Valentino è stata l’imitazione più longeva e assurda.
Valentino non ne poteva più. Ha dichiarato: “Evitavo di accendere la tv perché mi ritrovavo ovunque”.
Poverino, l’ho massacrato.
Non si è troppo offeso.
E che doveva fare? Era stato raddoppiato.
È il tema del suo spettacolo.
Due Paoli, due Morandi, due Vasco…
Oltre a Valentino?
Proprio Gino Paoli, perché riuscivo a far ridere con uno così mollo.
Qualche personaggio le è venuto a noia?
Forse Matteo Salvini.
Come mai?
Forse sono io che non riesco a renderlo così buffo, diventa sempre pesantone com’è lui.
O è lei che non vuole regalargli un lato umano.
Ecco, questo è il punto: a tutti i miei personaggi ho regalato un lato di tenerezza, mentre dovrei essere più graffiante.
Come accoglie la risata mancata?
(Immediato) Male.
Il pubblico ha sempre ragione?
Il pubblico non ha sempre ragione, ma non ha colpa.
Quale personaggio si è “portato a casa”?
Di solito nessuno, mi sfogo mentre li impersonifico; (ci pensa) forse il primo anno di Valentino: sono stato truccato 300 giorni su 365 e mentre dormivo lo sognavo.
Avrà la pelle massacrata.
Solo un’allergia in 40 anni. Però ho lavorato sempre, anche con la febbre o il morbillo.
Come, il morbillo?
Avevo 38 anni e mi truccarono con il lattice sopra le pustole.
Pure infettivo.
La dottoressa mi disse: è un’intossicazione alimentare.
Il politico indisponente.
Quando diventano premier cambino totalmente.
Chi?
Matteo Renzi prima era raggiungibile, accettava gli sketch. Da presidente del Consiglio è stata la fine.
L’hanno mai confusa per il personaggio reale
Sempre. Anche vestito da Papa Francesco: una volta siamo scappati in macchina dalla zona del Vaticano inseguiti da un’orda di fedeli peruviani; (pausa) però ricordo lo sguardo d’amore di uno di loro.
E lei come Ballantini l’hanno mai confusa per altri.
Mi basta tagliare i capelli e sono anonimo: ho un’identità sfuggente. E questo mi è servito.
Le dispiace?
Un pochino perché devo arrivare davanti alle persone, a pochi centimetri, e lì sento sempre la stessa frase: “Oh, non ti avevo visto”.
Anche ai tempi della scuola era trasparente?
Insomma. Cercavo di far divertire gli insegnanti e i compagni.
Serviva?
Con quella di matematica, tanto; (cambia tono) quando gli altri compagni andavano in biblioteca per studiare, io li raggiungevo ma prendevo i libri su Totò o su Petrolini.
Petrolini e Totò non sono neanche toscani…
Sono il primo attore non romano ad aver ricevuto il premio Petrolini; (pausa) ho un grosso rimpianto: Proietti mi aveva proposto una cosa insieme, ma avevo la tv.
Proietti dedicava lezioni intere su come si ringrazia il pubblico alla fine dello spettacolo.
A me non riesce e me lo dicono tutti.
Che succede?
Mi imbarazzo. Prendo l’applauso, quasi lo stoppo. E non cedo alla pantomima del dentro-fuori per prolungarlo.
Ora dirà che è timido.
Riservato. Anche se gli altri mi danno del timido.
Vantaggio della fama.
Le persone si rapportano a te con una maggiore affabilità.
Ed economico?
Ho un problema: non amo il lusso.
Niente.
Non amo le automobili, i vestiti, gli orologi, i viaggi costosi. Il vantaggio è poter catalogare le mie opere, incorniciarle, sistemarle.
Antonio Ricci.
Tostissimo. Ma con i tostissimi vado d’accordo; (silenzio) se non fosse così tosto, non avrebbe avuto questa carriera.
Avete mai litigato?
Con lui c’è rispetto reciproco; e poi ci conosciamo dal 1989: siamo quasi parenti.
Ricci è celebre per gli scherzi a chi lavora con lui.
A Livorno i carabinieri fecero esplodere la mia valigia con dentro le parrucche: erano convinti che dentro ci fosse una bomba. Allora lui e Fantoni realizzarono una finta denuncia dei carabinieri con su scritto che non potevo uscire dall’Italia per procurato allarme; i carabinieri gli hanno rivolto i complimenti perché il documento era perfetto.
Ma la valigia?
Ero partito per Milano e l’avevo dimenticata sotto casa. Allora chiamai la mia ex moglie per chiederle il favore di recuperarla. Ci andò. E lì vide l’area transennata: “Attenzione, forse c’è una bomba”. Non fece in tempo a urlare “fermi!” che saltò in aria. Tutte le parrucche bruciate.
Povere parrucche.
Questo episodio lo racconto nello spettacolo e il pubblico ride, come fosse una battuta. Peccato che è vero.
Altro episodio dello spettacolo…
Il figlio di Gino Paoli, giornalista, va a Sanremo. Mi vede. E pensa: “Guarda quello stronzo di mio padre: è arrivato il giorno prima e neanche mi ha chiamato”.
Qualcuno dei suoi imitati l’ha ringraziata?
Tony Renis, Adriano Pappalardo…
Pappalardo eccezionale.
Ha un’immagine differente da quello che è realmente: è una persona con delle grandi dolcezze.
Lei lo sa.
Io li studio.
A fondo.
Mi viene facile. Stessa cosa con Morandi: lui ama dare consigli, incoraggiare, sollevare gli animi. Eppure non lo sapevo. L’ho capito guardandolo, poi i suoi amici mi hanno confermato che avevo colto il suo aspetto.
Valentino Rossi.
Non è un’imitazione che amo.
Perché?
Non lo so; comunque di lui ho colto che adora apparire come uno che non se la tira, invece se la tira.
La differenza tra il suo Valentino Rossi e quello di Teocoli.
Quello di Teo faceva veramente ridere. Lui è un mito.
È mai stato invidioso?
Di Corrado Guzzanti quando ha avuto tutto quello spazio che è diventato mitologico.
Lei in quanto a spazio…
Una cosa è un minuto, mentre lui stava in un contesto diverso; l’altro giorno sono andato a pranzo con Max Giusti: il suo De Laurentiis è magnifico.
Un collega generoso con lei.
Mai stato amante del genere alla Gigi Sabani, tipo caricatura-volante. Una volta camminavo per Milano2, si ferma una macchina, e scende proprio Gigi Sabani: “Anche io ho fatto Gianni Morandi. Però la mia è un’imitazione. Tu sei Gianni Morandi”.
Un rimpianto.
Oltre a Gigi Proietti ho detto di no a Gabriele Lavia.
Lavia altro contesto.
Era rimasto colpito dalla mia pittura, come Lucio Dalla o Vasco Rossi. La pittura mi ha aperto altre porte.
Lucio Dalla.
Ero un fan-stalker: so tutto di lui.
E com’era?
Schietto, generoso, meraviglioso. Solo.
Vasco è solo?
È più un eterno ragazzo.
Lei è solo?
(Ci pensa, abbassa la voce) lo siamo un po’ tutti.
Secondo Lillo i momenti di depressione sono i migliori per la creatività.
Con sedici anni di gavetta, quanta depressione.
Quante volte ha pensato di mollare?
Parecchie, poi subito sentivo una vocina interiore che diceva: “Per mollare ci devono essere dieci più bravi di te”. Questi dieci non li ho mai trovati.
Lei chi è?
Un artista non mancato