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 2025  gennaio 26 Domenica calendario

Il muro di Trump tra San Diego e Tijuana


SAN DIEGO – TIJUANA – Diamanda Aguilera attraversa il confine con una mazzetta di dollari nascosti nel reggiseno. Ha 43 anni e da 13 vive e lavora a San Diego. La carta verde le permette di muoversi fra i due mondi di quell’unico agglomerato urbano tagliato dalla frontiera. Sua figlia Gisela, 22 anni, l’aspetta a Tijuana fra venditori di tacos e souvenir, nel piazzale davanti alla dogana. Piangono: «Mia figlia aveva ottenuto l’appuntamento per il visto martedì 21 gennaio. Invece il giorno prima, quello dell’insediamento di Trump, glielo hanno cancellato. Viene da Uruapan, sud del Messico, fuggita da un marito violento da cui non può tornare. Le do qualche soldo per rivolgersi a un avvocato. Non tanto: lavoro in un supermercato, col mio stipendio mantengo sette persone». Parlano in dialetto purhepecha affinché intorno nessuno comprenda. «Non la rivedrò presto. A chi attraversa spesso stanno revocando i visti. Un problema anche per i tanti che vivono a Tijuana perché costa meno e con la green card attraversano ogni giorno per raggiungere la fabbrica Nike attaccata al confine, sul lato americano». Gisella dorme in un ostello, 20 dollari a notte per una stanza senza bagno, ma in questa città che sui migranti ha basato un’economia parallela fatta di droghe e bordelli, almeno è al sicuro. È un brutto edificio giallo su cui, parafrasando il celebre brano degli Eagles c’è scritto “Welcome to Hostel California” a lettere viola: perché anche se sei in Messico puoi guardare l’America.Così vicine, così lontane, Diamanda e Gisela sono due volti di una sola tragedia. Quella di chi in America è entrato illegalmente, ha un lavoro e ora rischia di perdere tutto perché per lo “zar di confine” Tom Homan il concetto di “criminali” da deportare si allarga agli illegali che hanno preso una multa per divieto di sosta. E chi invece sperava di entrare legalmente: e ha trovato la porta sprangata. Lunedì Trump ha infatti cancellato la app Cbp One voluta da Biden: lotteria online che sorteggiava 1450 appuntamenti per il visto al giorno e in 2 anni ha permesso l’ingresso ordinato di un milione di persone.Alla “Casa del Migrante Fuerzas Internaciol” guidata da Perla Hernandez le storie sono tutte simili: Marcela Rubio ti racconta la sua in una spartana stanzina arredata con oggetti donati (una coperta con Buzz di Toy Story, un vecchio quadro con veliero). In Venezuela era un’attivista anti regime: «Avevo ottenuto l’appuntamento per un visto da rifugiata dopo 3 mesi di tentativi. Ho venduto tutto per dare un futuro alle mie figlie Solange e Sofia, 4 e 10 anni. Abbiamo attraversato 7 paesi in autobus, è stato infernale. Ho seguito le regole, ho aspettato il mio turno. E ora? Siamo esseri umani anche noi». All’appuntamento a El Chaparral, gli uffici di frontiera, è andata lo stesso: l’hanno cacciata, senza uno straccio d’informazione. Come se non bastasse, racconta Perla Hernandez, «è arrivata la comunicazione, che potrebbe presto diventare esecutiva, che nei rifugi potremo accogliere solo messicani. Il governo dice che gli altri vanno messi in strada. Avremo disperati di serie A e B».L’associazione Border Line Crisis Center ha appeso sui muri di Tijuana e San Diego dei volantini: «Hanno annullato il tuo appuntamento al Cbp One? I tuoi documenti non sono in ordine?». Offrono alloggi, pasti, visite mediche, assistenza legale, interpreti. Ti indirizzano a “Casa Familiar”, sedi su entrambe i lati. Oltre ad ambulatori e all’asilo c’è una mensa dove servono riso e fagioli. Gloria Lobos, guatemalteca, ha lasciato il suo Paese ad aprile col marito Carlos, il bebè Mattias e Randi, 8 anni, che non le si stacca dalla gonna: «Ci fu un omicidio davanti all’officina di mio marito e legang pensarono avesse visto. Un amico ci ha avvertiti e siamo scappati senza neanche il tempo di spegnere i fornelli». Prega: «Signore, oggi non capiamo la tua volontà ma forse col tempo comprenderemo. Il nostro destino è nelle tue mani». L’intera tavolata si commuove. Fra loro c’è Manuel, 19 anni, arrivato dal Salvador con l’aiuto di un “coyote” pagato dalla sorella che vive a New York, il sogno d’ inscriversi a Medicina. Ha già scavalcato la frontiera due volte con una borsa leggera: mutande, collirio, sigarette, la ricarica del cellulare. Lo hanno preso e rimandato indietro: «Proverò ancora» dice con spavalderia. «Di storie come le loro ne ho viste tante» sospira padre Panchito Gallardo, responsabile di un altro rifugio, l’Embajadores de Jesús, 100 posti letto dove nel solo 2024 sono passate 26 mila persone. «Disperati col sogno di una vita migliore che alla fine del cammino trovano i muri di Trump. E ora chissà quanti ne dovremo ospitare che hanno passato la vita in America e qui non hanno nulla cui tornare».Intanto a San Diego è arrivato l’esercito: per aiutare la polizia di frontiera a fermare gli illegali, certo. Ma soprattutto per organizzare campi dove contenere gli espulsi. Dotati addirittura di carri armati Stryker scrive ilLos Angeles Times, svelando dettagli di una missione inedita giacché finora il Pentagono ha sempre limitato la presenza al confine, sia per i limiti imposti dalle leggi federali, sia per i rischi di tali schieramenti alle porte di un Paese amico. Eppure è in arrivo una nuova carovana di migranti che chiamano “Trump Convoy”. Ventimila persone che hanno attraversato il Darien Gap, la giungla al confine fra Panama e Colombia, in balia di bestie feroci e gang. «È un paradosso, ma proprio il ritorno di Trump sta spingendo più gente a partire. Pensano sia l’ultima chance di entrare in America» ti dice John Carlos Frey, giornalista investigativo messicano vincitore di un Emmy col documentario Invisible Mexicans e autore di Sand and Blood, sabbia e sangue, appunto sul confine. «Arrivano esasperati e stanchi e trovano alla frontiera una situazione di guerra cui non sono preparati: soldati che gli danno la caccia come criminali, elicotteri che terrorizzano i bambini, prezzi alle stelle».Chi non trova posto nei rifugi al tramonto si accampa sulla Playa di Tijuana, dove l’alta staccionata di metallo che segna il confine si tuffa nel Pacifico separando anche il mare. Lì c’era il “Parco dell’Amicizia”, inaugurato nel 1971 da Pat Nixon, a lungo straordinario luogo d’incontro fra chi, da un lato e dall’altro, era impossibilitato a varcare la frontiera. Pandemia e lavori l’hanno tenuto chiuso per anni. Doveva riaprire il 3 febbraio, ma probabilmente resterà sbarrato per sempre. Ci hanno appeso un cartello con Trump e Biden intenti a baciarsi: «Tirate giù il maledetto muro».