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 2025  gennaio 26 Domenica calendario

Mps-Mediobanca, parla Sabino Cassese


MILANO – «La presidente del Consiglio dice giustamente che si tratta di un’operazione di mercato.E proprio in quanto tale bisogna aspettare il responso del mercato. Che però, a giudicare dalle prime reazioni e dai dati disponibili, non pare disposto ad accettarla».Sabino Cassese, già giudice costituzionale e ministro, è il maggior esperto italiano di diritto amministrativo e di funzionamento della macchina pubblica. Non si scandalizza vedendo lo Stato azionista in un Mps all’assalto di Mediobanca, ma pensa che la vittoria della banca senese e dei suoi principali soci sia tutt’altro che scontata.Partiamo dai dati, allora, professor Cassese.«C’è una banca come Mps che vale in Borsa circa 8 miliardi e che presenta un’offerta pubblica di scambio su un istituto come Mediobanca, che ne capitalizza quasi 14. Ma, soprattutto, Mediobanca ha circa un terzo degli addetti di Mps. Questo ci dice – in un contesto in cui, come ha spiegato anche l’ex direttore generale di Bankitalia Salvatore Rossi, il mondo del credito sta cambiando – che una è banca di ieri, se non dell’altro ieri, e l’altra di domani».Ma l’amministratore delegato di Mps, Luigi Lovaglio, ha spiegato che proprio il fatto che i due gruppi siano complementari è una delle chiavi per il successo della fusione.«Il problema è capire quale modello si sceglie in una possibile combinazione: se quello dellabanca tradizionale, che appare ormai superato, o quello della banca più orientata alla consulenza e alla gestione del risparmio. Mi pare che venerdì la Borsa abbia già dato un giudizio sulle finalità e sul possibile esito dell’operazione, penalizzando i titoli dell’offerente e facendo salire quelli della banca “preda”. Una combinazione in cui un istituto convalescente, se non addirittura ancora malato, cerca di conquistarne un altro sano è molto difficile. È bene cercare dimensioni maggiori, ma questo va fatto non chiudendosi nell’ambito nazionale e con unioni che valgano più della somma delle società che uniscono le loro forze».Decideranno gli azionisti, dice lei.«Certamente, come deve essere. Anche se non si può fare a meno di notare che il gruppo Caltagirone e la Delfin della famiglia Del Vecchio sono soci sia di Mps sia di Mediobanca, oltre che di Generali.C’è una continuità di azionariato. Si può pensare che la finalità ultima di questi azionisti sia legata anchealla gestione dell’ampio patrimonio delle Generali?»Parliamo della politica. Il Mef ha ancora l’11,7% di Mps e in queste ore si sprecano le dichiarazioni del governo e della maggioranza a favore dell’operazione. Non è un’invasione di campo?«Non direi. Finché il governo si affida a meccanismi di mercato, come la presidente del consiglio ha detto anche oggi (ieri, ndr), mi pare che tenga fede a quel che aveva dichiarato nel suo discorso programmatico, ossia che “il motto di questo governo sarà: non disturbare chi vuole fare”. E lasciar fare il mercato significa anche esporsi al rischio di un “no”».Ma la saldatura tra gli interessi di alcuni azionisti e quelli della maggioranza rischia o no di deformare le regole del mercato?«C’è chi vigila sul rispetto delle regole, in particolare le Autorità indipendenti come la Consob, la Bce e la Banca d’Italia, che si pronunceranno a tempo debito. E intanto non vorrei che si attribuisseun eccesso di politicizzazione ad alcuni comportamenti e dichiarazioni. I partiti sono diventati gusci vuoti e non mi meraviglio se la politica, che ha comunque bisogno di parlare con la società, si rivolge a interessi organizzati esistenti: possono essere i tassisti, i balneari, ma anche altri soggetti più grandi e strutturati. È legittimo farlo e gli interessi organizzati non sono il diavolo».C’è qualche dubbio relativo anche al fatto che Mps, banca risanata con capitali pubblici, utilizzi i suoi crediti fiscali per aumentare i vantaggi dell’operazione.«È certo un vantaggio per Mps e rappresenta un mancato incasso per le casse pubbliche. Ma siccome si tratta di una norma generale, che tutti i soggetti con i requisiti necessari possono sfruttare, non ci vedo nulla di male».Nel merito, ritiene che i numerosi richiami della maggioranza alla necessità di un terzo polo creditizio con connotati “italiani” e al rischio che il nostro risparmio nazionale vada in mani straniere segnalino problemi concreti?«Mi paiono richiami anacronistici. In un mondo come il nostro, dove la globalizzazione è tutt’altro che finita e dove l’Italia è uno dei maggiori produttori manifatturieri ed esportatori europei, chiudere le frontiere, oltre che essere antistorico, non sarebbe certo un vantaggio per noi. Andrebbe, anzi, contro l’interesse nazionale».