Corriere della Sera, 26 gennaio 2025
Un bilancio degli effetti del Pnrr
Nel mese di febbraio il governo dovrà condividere con la nuova Commissione europea l’ultima revisione del Pnrr calibrando gli obiettivi raggiungibili e discutendo in merito agli investimenti che, pur essendo avviati, è probabile che accusino un certo ritardo. L’impostazione originaria del Piano è molto rigida: chi non rispetta le scadenze rischia di non vedersi riconosciuto l’intero importo finanziato. Si capisce bene che la posta in gioco è rilevante.
Riteniamo, tuttavia, che prima di addentrarsi nel dettaglio e nei possibili rimedi, siano utili alcune riflessioni sull’intero Piano a tre quarti del suo percorso. Il più delle volte, lo sguardo è rivolto verso il basso, sul grado di spesa, di rendiconto, di impegno finanziario acquisito, sui singoli dettagli. È bene, in aggiunta, non dimenticare, una vista più generale e di orizzonte sul significato di quanto deciso dall’Unione europea dopo la tragedia del Covid e sui suoi effetti, in particolare per l’Italia. Il nostro Paese è stato fra quelli che più hanno puntato su quanto offerto dall’Europa: 194 miliardi di realizzazioni in 5-6 anni, quasi 35-40 miliardi all’anno. Altri sono stati più timidi e non hanno voluto sfruttare tutte le possibilità. Ebbene, il Piano si avvia alla sua parte finale, ha attraversato tre maggioranze politiche diverse (il «sistema Paese»!) e l’Italia, come ci ricorda sempre Marco Fortis, si vede riconosciuta nel periodo 2019-2024 la più alta crescita post Covid del Pil pro capite, il 6,6%. Anche in termini assoluti, il 2024, per quanto in frenata, chiude in positivo e siamo ben sopra i valori del 2019. Siamo riusciti a resistere a due anni di recessione tedesca.
Anche per i prossimi anni la crescita pro capite prevista è seconda, fra i Paesi occidentali, solo a quella degli Stati Uniti. Certo, da noi la popolazione cala da qualche anno e il Pil pro capite non lo riflette. Il calo demografico è un problema, come ricorda Francesco Billari, ma spostare le lancette non è facile. Nel frattempo, il debito pubblico italiano è cresciuto in termini di punti percentuali, meno di tutti, Usa compresi.
Siamo convinti che una parte non piccola del risultato italiano sia dovuta al Pnrr. Guardiamo allora al Piano in termini ampi e prospettici. Investimenti pari all’1,5% del Pil concordati con l’Europa e sottratti alle sole logiche nazionali delle leggi finanziarie, sono una gran cosa per l’Italia e anche questo spiega i risultati ottenuti. In termini di metodo, poi, la selezione delle attività, le verifiche intermedie, i target e le milestone con le relative riforme, rappresentano una dote in termini di governance istituzionale da non disperdere.
Non mancano naturalmente le criticità e un approccio flessibile, che permetta di selezionare gli obiettivi con massimo realismo, è un buon consiglio sia per la Commissione sia per il governo. Ma sarebbe un errore, soprattutto nella parte finale del Piano, tenere la testa solo bassa.
Per certi versi le difficoltà si sono rivelate utili e hanno reso esplicite le aree di freno del Paese, hanno costretto tutti a misurarsi con i tempi e con gli obiettivi. Hanno anche evidenziato come per fare le cose da noi serva un numero forse troppo elevato di passaggi burocratici, con aree di gestione prive di dimestichezza con i tempi degli investimenti. Naturalmente, lo sguardo deve sempre rimanere vigile sui fenomeni di abuso e di mal utilizzo delle possibilità offerte.
Tuttavia, dagli enti locali, alle infrastrutture (tutte), alla scuola, alla ricerca, il Pnrr ha rappresentato un «cambio di passo» che ha consentito anche a un Paese ad alto debito come l’Italia, di crescere senza far crescere il rapporto debito/Pil (il 110% e i suoi effetti non fanno parte del Pnrr!). Bene quindi immaginare tanto un «dopo» (le condizioni per un giusto «debito comune europeo») quanto la gestione dell’ultimo miglio, considerando le proposte che giungono dai vari ministeri circa la possibilità di ridefinire programmi e utilizzo delle risorse residue per chi si trova in una fase avanzata ma non ancora conclusiva.
Questo perché, anche nel migliore dei mondi possibili, è più facile fare i programmi sulla carta che realizzarli nell’azione. E in questo il Pnrr va visto senza indugio come un bicchiere mezzo pieno, che ha consentito all’Italia di misurarsi, dopo tanti anni, senza complessi di inferiorità con le altre grandi nazioni europee.