Corriere della Sera, 26 gennaio 2025
Isabella Ferrari parla di amori, tradimenti, carriera
Isabella Ferrari ha conosciuto subito il successo travolgente, a 17 anni con Sapore di mare. Per tutti era Selvaggia del film di Carlo Vanzina, non Isabella. Popolare e sofisticata, commedie e cinema d’autore.
Cominciamo da Paolo Sorrentino?«Nella Grande bellezza mi ha dato un piccolo ruolo che all’inizio non volevo accettare. Sarebbe stato un grande errore. Ci sono battute che valgono un intero film, ed è la grandezza del cinema. Penso a quando Toni Servillo come Jep Gambardella mi chiede: che lavoro fai? E io rispondo: sono ricca. Ho conosciuto persone in America che ricordano a memoria quella scena».
Così bella con le sue rughe, a 60 anni lei è diventata il volto di L’Oréal nel mondo.«Sono stata attenta a non invadere il mio viso di cose che non conoscevo, di cui non sapevo la provenienza. Ho rischiato molto nella mia vita ma non in questo senso. Ho fatto qualcosa alle labbra, a 30 anni, da una estetista, neanche un chirurgo, e non ne avevo nemmeno bisogno. È stata una cosa che mi ha ferito, mi ha fatto star male. Ma sono riuscita a tornare indietro e togliere tutto».
L’ha fatta crescere?«Sì, ho tratto giovamento dallo spavento e dalla vulnerabilità, che ho sempre accettato. Oggi sono lusingata di essere il volto di L’Oréal, perché il concetto che vogliono far passare è che una donna vale a 30, 50 e anche a 60 anni. Ricordo quando ne avevo 45 e la mia agente mi diceva: per questo film vogliono una più giovane. Ma sulla dittatura del corpo molti passi avanti sono stati fatti».
Demi Moore con The Substance ha avuto il riscatto a 62 anni.«Ha detto di essere stata a lungo considerata un’attrice da pop corn, che però è un concetto americano. Anch’io non ero considerata brava. Dopo Sapore di mare Marco Tullio Giordana mi fece tagliare i capelli, corti e neri: Appuntamento a Liverpool era il mio ingresso nel cinema d’autore, ma venivo dalle commedie e al Festival di Venezia appena apparve il mio nome la gente fischiò. E sempre al Lido vinsi la Coppa Volpi per Romanzo di un giovane povero, pensa che Scola all’inizio non mi voleva, diceva che sembravo uscita da una copertina di Vogue. Non avendo fatto scuole, ho sempre avuto la curiosità di incontrare registi che potessero traghettarmi altrove».
Per esempio?«Beh, ho fatto 24 episodi di Distretto di polizia, che ha cambiato la percezione delle fiction in Italia. Gli amici del cinema mi dissero di non farlo, Amelio non ti chiamerà più, mi dicevano. Lo incontrai per strada, mi disse, scusa ma devo tornare di corsa a casa per vedere Distretto di polizia. Il film di Demi Moore solleva un tema che va oltre a ciò che stiamo dicendo, è la necessità di un cinema libero, indipendente, che in Italia con le regole attuali non si potrebbe più fare. Demi Moore lì è una star a cui dicono sei troppo vecchia per essere una guru del fitness in tv. Sicuramente la parità tra uomini e donne nel mio lavoro è lontana, anche sul piano economico. E non dobbiamo fissarci troppo sui film di donne per le donne, bisogna uscire dalla retorica».
Nicole Kidman in Babygirl mostra il desiderio femminile più intimo.«La vertigine erotica quando non si è più giovani. Sì l’avrei fatto quel film, anche se io fantasie proibite non ne ho. Quando feci E la chiamano estate di Paolo Franchi, non ho avuto alcuna ansia nel denudarmi e avere il mio sesso in primo piano. Ero madre di tre figli piccoli che erano in sala insieme con mia madre. Mi premiarono e mi fischiarono, alla Festa di Roma. Tornai a casa traumatizzata».
Ha tre figli: che madre si sente?«Sono stata ossessiva, protettiva e quindi sbagliata. Il controllo, la paura... Sono stati più loro ad avermi insegnato. Ora stanno andando via di casa. Ho fiducia, mi piace quando mi guardano e mi criticano. Io sono una donna semplice, cresciuta nel mondo di Vermiglio. In quel film (che non so quanto incasserà ma so che resterà) ritrovo le mie madeleine, il mondo contadino della prima adolescenza, le balle di fieno, la legna, il latte caldo. Una cosa magica e opprimente allo stesso tempo. Sono cresciuta in un borgo piacentino di tre case dove l’unico svago era la parrocchia, in una famiglia sobria dove le giornate erano scandite dal silenzio».
E dei sentimenti...«Non si parlava affatto. Per niente! C’era paura a parlarne e ad abbracciarsi. Mia madre, che scelse la mia vita per me, mi ha insegnato ad avere i piedi per terra. Tante volte mi sono sentita inadeguata e ho imparato tanto, per esempio che il destino non esiste. Ma la nostalgia non mi interessa più di tanto, sono legata all’oggi, a quello che succede, faccio fatica a ricordare».
Il primo amore lo ricorda?«Sì, un ragazzo calabrese in Liguria, al mare d’estate. Giuseppe. Il mio compito era di andare a comprare il pane e lui faceva il panettiere. Ero bella, voluta, desiderata. E allo stesso tempo, più tardi, tradita brutalmente. A 25 anni, dopo una delusione d’amore, andai a vivere a Parigi da Monica Bellucci, in una piccola casa che era di Ugo Tognazzi. Ero stata lasciata da un ragazzo, così ho cominciato l’analisi e sono andata in un altro luogo. Monica ed io dormivamo nello stesso letto».
Chi cucinava?«Tutt’e due. La mattina lei si alzava sempre bellissima e con un cappuccino e una sigaretta si metteva al telefono, io scendevo in strada con le monetine e chiamavo l’analista. Siamo simili, anche Monica ha il senso profondo delle radici ed è legata alla sua terra. Eravamo in momenti diversi della vita. Non abbiamo mai litigato. A Parigi mi sono allontanata dalla fantasia di mia madre per il successo e ho cominciato a dipingere da autodidatta».
È stata sempre molto corteggiata.«Mi piace esserlo, è quello che gli spagnoli definiscono amor de pelicula. Spesso si innesca una passione sublimata col regista che finisce quando finiscono le riprese. Ma sono stata ossessionata dall’essere maschile e dall’aggressività, che non è corteggiamento. Con Carmelo Bene mi fermai sulla soglia della sua casa, percepii la pericolosità di chi pretende. E poi un produttore, anche noi abbiamo avuto i nostri Weinstein, scappai, uscii sulla Tiburtina e non sapevo nemmeno se andare a destra o a sinistra, chiamai un taxi... Ricordo tante notti insonni a rimuginare quella roba lì. Avevo bisogno di leggerezza e di umorismo, mio marito, è stato fondamentale».
Rimpianti?«Ne ho molti, perché ho vissuto molto. Mi chiedi se non aver mai vinto il David di Donatello lo è? Sì, lo è. Sono stata candidata tre volte, cosa posso dirti, forse non me lo sono meritato. Ho sofferto molto dopo Un mondo perfetto di Özpetek, che a Venezia mi aveva dato il premio Pasinetti dei critici. Oggi sono tranquilla e in pace con me stessa. Ho fatto tanti film sbagliati, tre erano proprio una sòla, come si dice a Roma. Non mi dispiace più di tanto, l’insuccesso di qualche film».
La gente le vuole bene.«Voglio pensarlo anch’io. La cosa di cui sono più orgogliosa è che non ho mai avuto padroni».
Cosa vorrebbe insegnare ai suoi figli?«Un po’ di sfrontatezza, seguendo più il cuore e meno la ragione. Io sono stata una figlia disciplinata, col senso del dovere, con i primi risparmi comprai una casetta. Non mi sono mai ribellata».
Cosa la sorprende?«Le cose piccole, affronto le giornate come una scalata. A me sembra di ricominciare ogni giorno, come donna, come moglie, come madre».