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 2025  gennaio 26 Domenica calendario

Il racconto delle donne soldato liberate


Sprofondano tra le braccia dei genitori. I corpi si intrecciano e si stringono. Le mani si agganciano come lucchetti. Si accarezzano i volti. Piangono. I padri le sollevano da terra. Le madri sussurrano parole del lessico familiare che conservano da 477 giorni, da quando Hamas le ha rapite dalla base di Nahal Oz, a meno di un chilometro da Gaza, ancora nei loro pigiami. Sono tornate a casa. Niente più tunnel, nascondigli, bombe. Quanto devono aver sognato questo momento le soldate Naama Levy, Daniella Gilboa, Karina Ariev e Liri Albag? Non importa se prima di passare alle cure della Croce Rossa, le quattro ventenni in mimetica siano state costrette a salire, sorridenti, su un palco allestito da Hamas in mezzo a una folla di uomini esultanti. O che siano state forzate a recitare in video: «I miliziani ci hanno trattate bene. Grazie brigate al-Qassam». Le ragazze sono libere. Nel giorno di Shabbat, la missione è compiuta: quattro militari per 200 prigionieri palestinesi.
Iniziamo a riconoscere tempi e luoghi. Gli stessi che abbiamo visto nelle immagini delle prime tre civili tornate in Israele: Romi Gonen, Emily Damari e Doron Steinbrecher. Le stanze bianche, asettiche, dell’esercito, i divani minuscoli dei primi abbracci con i genitori. Riconosciamo anche le bellissime trecce di alcune di loro che abbiamo già visto sulle teste di altre donne liberate. Potrebbero essere state fatte dalla compagna di detenzione e soldata Agam Berger, rimasta misteriosamente a Gaza e che dovrebbe rientrare nella lista dei prossimi rilasci. Lo racconta la madre di Agam che ha parlato con chi è già fuori: «Mi hanno detto che mia figlia intreccia i capelli delle ragazze che liberano, anche se lei rimane. È il suo modo di salutare trasmettendo amore e forza».
A Tel Aviv, dalla piazza degli ostaggi, centinaia di persone seguono la scarcerazione dal grande schermo. Si abbracciano, cantano e fanno il gesto dell’indice e del mignolo alzati che mima la mano senza due dita di Emily Damari, ferita da Hamas: nuovo simbolo di speranza. Ogni passaggio trasmesso corrisponde a un sospiro di sollievo. Il viaggio del fuoristrada bianco che attraversa la Striscia martoriata; l’uscita dai cancelli di Gaza, l’incontro con i militari dell’Idf, l’arrivo alla base di Re’im dove avviene il primo incontro con le famiglie e il volo in elicottero verso l’ospedale, il Beilinson Hospital.Ynet, un giornale israeliano, riporta i primi racconti delle soldate: sono state tenute in appartamenti e tunnel in pessime condizioni igieniche. Costrette a cucinare e pulire per i miliziani e a curare i loro figli. Per spostarle le travestivano da donne palestinesi. Hanno imparato l’arabo.
La portavoce dell’ospedale conferma le condizioni di salute stabili: «Sono colpita dalla loro resilienza». I genitori ringraziano tutti e mandano un pensiero alle famiglie degli altri ostaggi rimasti a Gaza, la cui angoscia conoscono nei dettagli. Gli psicologi raccomandano di fare attenzione nel raccontare le ragazze: sorridono ma non sappiamo che cosa abbiano vissuto. Abbiamo visto il video del loro rapimento: i volti tumefatti, i pantaloni di Naama macchiati di sangue. Le giovani stanno già descrivendo i mesi a Gaza e un giorno sapremo che cosa è successo in quei tunnel. Ma ora è il tempo di gioire guardando Liri che accoglie con un cuore la ritrovata libertà.