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 2025  gennaio 25 Sabato calendario

In Puglia un ponte stampato in 3d, e altre cose

Futuristico lo è per davvero. Ma non per via di quell’arcata: lineare, pulita e che, tra l’altro, si rifà al genio di Leonardo (perché il progresso è sempre proiettato in avanti ma, se non ha basi solide in ciò che è venuto prima, va da nessuna parte). Semmai è una rivoluzione per come è stato costruito. Anzi, “stampato”. A Gravina di Puglia (Bari) il Da Vinci’s bridge è il primo ponte pedonale autoportante interamente realizzato con una “stampante” in 3d. È un prototipo, però è sufficientemente grande da poterci salire sopra. È ecosostenibile, perché i materiali che lo compongono derivano dalle polveri lapidee di scarto che sono unite da un legante fatto di geocalce. È frutto di un’iniziativa pubblico privata che parte dal Politecnico barese, coinvolge una startup di Gravina (la B&y) e arriva fino a Massa Lombarda, in provincia di Ravenna, con l’azienda specializzata in grandi stampanti 3d Wasp. È l’Italia del nuovo millennio: smart, ecologica, forse un po’ bizzarra, sicuramente innovativa. Signori, benvenuti nel futuro.
Quello delle nuove opportunità, delle nuovissime tecnologie, delle sfide che fino all’altro ieri non erano nemmeno immaginabili e adesso, toh, sono reali quanto lo è stato, per secoli, il mattone. «I prossimi passi includono la valutazione delle proprietà meccaniche dei materiali utilizzati e il perfezionamento del processo di “stampa”», spiegano dal Poliba, epperò «questi risultati potrebbero aprire la strada a nuove applicazioni nel settore architettonico promuovendo una visione più sostenibile e tecnologicamente avanzata». Per esempio: il Comune di Vellodolmo, che fa circa 3 mila abitanti in provincia di Palermo (e chi l’ha detto che l’avanguardia debba essere a solo appannaggio delle grandi metropoli iperconnesse e ultradigitalizzate?), si è già detto interessato alla progettazione e alla realizzazione di un ponte simile al Da Vinci’s bridge da piazzare nel suo contesto paesaggistico e turistico.
Viviamo in un mondo da “stampare”. Ci siamo già dentro: alle volte manco ce ne accorgiamo, altre siamo tra i primi a capirne le potenzialità, spesso rimaniamo a bocca aperta. Nel 2023 l’Epo, che è l’Ufficio europeo dei brevetti, ha registrato un incremento di domande relative al settore della “stampa 3d” del 26,3% (una percentuale sei volte superiore a qualsiasi altro comparto) e ha specificato come l’Italia sia il secondo Paese del continente in fatto di queste istallazioni industriali. Pronti, via. Ce n’è per tutti.
C’è, infatti, il ciabattino 2.0 che ti ripara le scarpe col tacco e che disegna in 3d piccoli oggetti e gadget per abbellire le sue creazioni (c’è per davvero, a San Casciano in Val di Pesa, nel Fiorentino); c’è l’ospedale San Bortolo di Vicenza che ben prima della pandemia (era addirittura il 2019) ha impiegato la “stampa” in 3d nella preparazione degli interventi complessi, di fatto realizzando modelli tridimensionali degli organi che devono essere operati, fedeli al 100% rispetto a quelli del paziente, e persino con materiali in grado di “ricordare” le proprietà del tessuto del corpo umano; c’è l’imprenditore pugliese che produce (cioè “stampa”) componenti destinati ai colossi dell’aerospazio e del motorsport, con clienti che spaziano dall’esercito statunitense alla Ducati.
La chiamiamo “stampante” ma è qualcosa di un legger
mente diverso (nell’articolo qui sotto cerchiamo di fare chiarezza): è un po’ moda, un po’ boom, un po’ mania che non si ferma ai confini nazionali, un po’ divertimento e un po’ serissimo lavoro che vale, appunto, qualcosa come sedici miliardi di euro in tutto il pianeta. Hai detto nulla.
Dalla medicina alla musica, dalle costruzioni alla cucina (qualcuno ha provato a “stampare” persino la pizza). In 3d si “stampano” nientemeno che gli edifici: certo, non a blocco intero ma per parti (che vengono assemblate), però il risultato è che In Texas, l’estate scorsa, a una cinquantina di chilometri da Austin, è nato, letteralmente dal nulla, un intero quartiere con cento abitazioni. Per “stampare” una singola unità abitativa tramite un’enorme “siringa” che spalma strati di calcetruzzo, acqua e sabbia con la stessa facilità con cui noi vecchia scuola spremiamo il tubetto di dentifricio la mattina quando ci laviamo i denti (non ce ne vogliano gli ingegneri, ma è una metafora che rende bene l’idea di come funziona una “stampante” 3d) sono servite appena tre settimane.
Da quando nel lontano (si fa per dire) 1982 Chuck Hull, che è il babbo di questa tecnologia, ha inventato, in Colorado, la stereofotografia, il mondo come lo conosciamo si è rinnovato parecchio. Ha iniziato a “stampare” cuffie e apparecchi acustici su misura (molto più performanti); il primo violino “stampato” è finito stampato due volte, la seconda nel senso più tradizionale ossia sulla prima pagina della rivista The Economist (nel 2011); ha reso possibile la realizzazione di piccoli bambolotti (gli amanti dei fumetti li chiamano “action figure”) con le sembianze non di Batman o di Spiderman ma di chi li ha commissionati.
È vero, qualcuno ne ha fatto pure un uso distorto (Luigi Mangione, il 26enne che a dicembre, a New York, ha ucciso l’amministratore della società di assicurazioni mediche United healthcare Brian Thompson, l’ha fatto impugnano una pistola “stampata” in 3d da lui stesso), però quello è un altro discorso: la “stampante” in 3d è uno strumento, in sé non è né un bene né un male, è solo un’opportunità. Sta a chi la usa impiegarla nel migliore dei modi. Il fatto è che con una “stampante” in 3d si può stampare pressoché ogni cosa, compresa un’altra “stampante” in 3d. E non è un gioco di parole. È stato fatto anche questo.