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 2025  gennaio 25 Sabato calendario

Biografia di Aaron Kostner

Avrebbe potuto seguire le orme di Isolde, cugina di mamma Monica, e darsi allo sci alpino, oppure continuare sul ghiaccio il solco di Carolina, la cui madre è cugina di papà Marco, dedicandosi al pattinaggio figura, o ancora ripercorrere il binario di zio Ulrico, il primo trionfatore della marcialonga, divenendo così un fondista. Invece, nulla di tutto ciò. Aaron ha deciso di portare il cognome Kostner nell’universo della combinata nordica e diventare il cittadino di Ortisei più bravo nello sport che abbina il salto e lo sci di fondo. «Mi ritengo fortunato perché sono nato in Val Gardena, una terra dove lo sport assume una grande importanza. Da piccolo li ho praticati tutti, privilegiando ovviamente quelli invernali, e alla fine mi sono appassionato al fondo. Sugli sci stretti andavo bene, ma quando sul Monte Pana, sopra Santa Cristina, ho cominciato a saltare sui trampolini di 20 e 30 metri ho provato sensazioni uniche. A quel punto approdare alla combinata è stato naturale, il salto mi rendeva libero e mi faceva sperimentare il volo, il fondo era invece il mio ambiente naturale». Tra i due gesti, quello che gli viene meglio è il secondo, ma nella combinata nordica attuale eccedere nel fondo non è sinonimo di successo: «Oggi chi è più bravo nel salto è nettamente avvantaggiato per due ragioni. La prima è che i coefficienti di trasformazione dei punti in secondi privilegiano chi riesce a saltare lungo, la seconda è che con l’evoluzione dei materiali la durata del segmento di fondo si è notevolmente ridotta ed è quindi venuta meno la possibilità di recuperare sulla distanza. Se si osservano bene i tempi, dieci anni fa per coprire 10 chilometri si sfiorava la mezz’ora, oggi invece in 22 minuti la distanza è completata. Significa che ci sono 7-8 minuti in meno per recuperare. Pertanto per ridare un senso di spettacolo, o si modificano i coefficienti o si allunga la frazione del fondo a 12,5 chilometri».
Intanto il dominio di poche nazioni – Austria, Germania e Norvegia, con qualche inserimento giapponese – sta spegnendo l’attenzione intorno a una specialità dall’antica tradizione («È stata presente sin dalla prima edizione dei Giochi olimpici invernali, a Chamonix nel 1924, non si può buttare quanto di buono è stato costruito nel corso di un secolo»), che rischia seriamente di essere defenestrata dal contesto a cinque cerchi: «La preoccupazione esiste ed è reale, ma dobbiamo rimanere ottimisti e sperare che la Fis trovi la soluzione che ci consenta di uscire da questo momento di stanca». Il campanello d’allarme risuona osservando un calendario ridotto all’osso, con più weekend liberi rispetto a quelli occupati. «È davvero un peccato che dopo un mese di pausa, in gennaio ci sia stata solo una tappa, con due buchi per le rinunce contestuali della Val di Fiemme e di Nagano. In Trentino stanno rifacendo i trampolini di Predazzo, in Giappone hanno avuto problemi con l’omologazione. La cosa più triste è che non si siano fatte avanti località per recuperare le gare saltate».
Altro tasto dolente sono i format di gara: «Per un decennio non si è pensato a nulla e la presenza di un solo modello ha ridotto via via lo show. Adesso, sperando che non sia troppo tardi, si sta correndo ai ripari e l’introduzione della gara compact, nella quale i distacchi dopo il salto sono fissi, contando quindi solo la posizione in classifica e non il punteggio in base alle misure saltate, punterebbe a livellare i valori in campo». Obiettivo che si fatica a raggiungere anche perché le nazioni più forti sono quelle che possono investire di più: «L’evoluzione dei materiali, soprattutto delle tute da salto, può fare davvero la differenza, quindi il know-how diventa strategico e sposta gli equilibri».
L’assenza dell’impianto casalingo significa dover vivere in costante raduno all’estero per allenarsi: «Ormai abbiano le nostre basi fisse, o a Tarvisio, quando saltiamo a Villach e a Planica, oppure a Innsbruck, quando ci muoviamo tra Seefeld, Stams e Garmisch». Proprio in Tirolo si riprenderà il percorso la prossima settimana con il Seefeld Triple, una tre giorni che rappresenta la tappa classica di coppa del mondo. «Essendo a un’ora e venti di macchina da Ortisei, per me è anche la tappa di casa, quindi ci saranno tanti miei parenti a seguirmi. Lì ho centrato il miglior piazzamento in carriera, raccogliendo un undicesimo posto, e anche ai Mondiali del 2019 ho fatto bene».
Nato nel 1999, Aaron ha esordito in Coppa del mondo nel 2017 e nell’inverno successivo ha partecipato ai Giochi olimpici di Pyeongchang: «È stata finora l’avventura più bella della carriera, spero perciò di poter vivere di nuovo le stesse emozioni il prossimo anno tra Predazzo e Lago di Tesero». A condizione ovviamente di essere tra i convocati: «I criteri non sono stati ancora definiti, ma di sicuro conteranno i risultati della prossima stagione». L’auspicio è che quelli di Milano- Cortina 2026 non siano gli ultimi Giochi con la combinata nordica: «Adesso che la barca sta affondando tutti stanno correndo ai ripari. Speriamo che non sia troppo tardi e che la tradizione riesca a imporsi». Parola di un venticinquenne sempre sorridente e soprattutto molto loquace rispetto ad altri compaesani: «Sono stato sempre un tipo socievole e mi piace parlare e trascorrere tanto tempo con gli amici. In un mondo dove i social crescono di importanza e molti ragazzi preferiscono nascondersi dietro a uno smartphone a me piace ancora riscoprire i rapporti umani». Nello sport come nella vita quotidiana