il Fatto Quotidiano, 25 gennaio 2025
Rep fa i suoi 50 anni in anticipo: in cerca del tempo perduto?
Quando i giornali perdono l’anima
(Titolo di un editoriale di Eugenio Scalfari – Repubblica, 18 gennaio 1998)
La superstizione popolare avverte che festeggiare il compleanno in anticipo porta male. Auguriamoci sinceramente che non sia così per i colleghi di Repubblica che, sfidando la scaramanzia, hanno cominciato a celebrare il cinquantesimo anniversario del loro giornale un anno prima. C’è da sperare almeno che questo giubileo di carta stampata possa servire a ottenere la remissione dei peccati, come prevede per i credenti quello indetto dalla Chiesa cattolica per il 2025. La notte del 14 gennaio 1976, quando uscì il primo numero del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, alcuni di noi scesero in piazza Indipendenza – dov’era la sede del giornale – per vendere ai passanti le copie appena sfornate dalle rotative e compiere così un piccolo rito propiziatorio. Avevo cominciato a frequentare quella redazione nell’ottobre precedente, per partecipare alla preparazione dei quindici numeri zero che ancora conservo; avevo 27 anni e m’ero dimesso dal Giorno che era allora il terzo quotidiano italiano, di proprietà dell’Eni, per andare a lavorare con un “editore puro” – come usava dire – costituito dal Gruppo L’Espresso e dalla Mondadori di Mario Formenton. Lo ricordo qui, dalle colonne di un giornale senza padroni, solo per prevenire sospetti o accuse di malevolenza. Già nove anni fa, quando decisi di interrompere definitivamente la mia collaborazione, scrissi un pamphlet intitolato La Repubblica tradita (PaperFirst, 2016), per denunciare la deriva editoriale di “Stampubblica” interpretata dalla successione di tre direttori targati Fiat: dopo Ezio Mauro, Mario Calabresi e Maurizio Molinari. E forse, si sarebbe fatto ancora in tempo a evitare il peggio. La situazione è scivolata, invece, su un piano inclinato che ha portato progressivamente al disimpegno della famiglia De Benedetti e quindi all’infausto avvento di Stellantis, sotto l’egida di John Elkann, un padrone con interessi del tutto estranei all’editoria.
Il giornale di Scalfari era una “struttura d’opinione”, come lui stesso amava dire fin da quando dirigeva L’Espresso, teorizzando un transfert continuo con i lettori. Ma poi s’è visto come il “nipotino americano” dell’Avvocato ha liquidato quel glorioso settimanale e i quotidiani locali del Gruppo. Comprati e svenduti, per parafrasare il titolo di un vecchio libro di Giampaolo Pansa. Se oggi il giornale affidato a Mario Orfeo – il direttore all season che ha gestito due quotidiani del “palazzinaro” Caltagirone e poi ha battuto tutti i corridoi della Rai – sente il bisogno di cominciare a festeggiare con un anno di anticipo il suo cinquantesimo anniversario, significa che è alla disperata ricerca del “tempo perduto”, per citare il celebre romanzo di Marcel Proust, prediletto da Scalfari. E cioè, alla ricerca di un’identità smarrita negli archivi, in quell’ansia da prestazione che può provocare a volte l’ejaculatio precox, come in questo giubileo editoriale. Un Amarcord lungo un anno, per tentare di galleggiare sopra la soglia psicologica delle centomila copie di diffusione e magari recuperare immagine e credibilità agli occhi di qualche ex lettore.
Non può far piacere, a chi ha speso quarant’anni della propria vita professionale in quel Gruppo, parlarne in questi termini. Ma qui non c’è un capro espiatorio da immolare. Non è più un problema del direttore o della redazione. Il fatto è che un giornale d’opinione come quello fondato da Scalfari, insieme a un editore libero e illuminato qual era Carlo Caracciolo, non può avere un padrone né tantomeno un padrone come Elkann. E se “Stampubblica” compirà i suoi cinquant’anni sotto il marchio dell’ex Fiat, continuerà a perdere indipendenza e autorevolezza.