Il Messaggero, 25 gennaio 2025
La Corte dell’Aja, un giocattolo rotto
Slobodan Miloevi, Vladimir Putin, Thomas Lubanga, Joseph Kony, Omar Hassan al Bashir, e poi Benjamin Netanyahu, unico leader di una democrazia occidentale per il quale la Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aja ha spiccato un mandato d’arresto per crimini di guerra e contro l’umanità. L’accusa è quella di avere deliberatamente impedito il transito di aiuti a Gaza. A Putin, invece, i giudici dell’Aja contestano anzitutto la deportazione dei bambini ucraini. Eppure, i mandati d’arresto hanno fatto grande scalpore ma non hanno raggiunto il risultato. E le polemiche nate in Italia dopo la vicenda del comandante libico Almarsi, con un mandato di cattura per una volta eseguito ma subito dopo annullato, sono solo l’ultimo episodio: da tempo ormai la Cpi rischia di apparire come un carrozzone che drena milioni e milioni di dollari per finanziare azioni giudiziarie fini a se stesse, strumentali, ed è accusato di esercitare una funzione essenzialmente politica. Nata nel 1998 sulle ceneri della ex Jugoslavia, è servita, dopo un lunghissimo braccio di ferro con le autorità di Belgrado, a portare dietro le sbarre in Olanda l’ex leader serbo, Slobodan Milosevi, poi trovato morto in carcere la mattina dell’11 marzo 2006. Erano passati pochi giorni da quando si era impiccato nella sua cella l’ex capo dei serbi di Krajina, Milan Babi, che scontava una condanna patteggiata a 13 anni. Ma in seguito non c’è stato verso di arrestare altri capi di Stato e di governo, o semplicemente sperare di fare giustizia, se non quando erano ormai caduti in disgrazia. La prima sentenza della Corte risale al marzo 2012, contro il generale della Repubblica democratica del Congo, Thomas Lubanga, un criminale di guerra che aveva mandato a morire un numero impressionante di bambini-soldato. Joseph Kony, comandante guerrigliero ugandese che ha rapito 66mila bambini e li ha costretti a combattere, è stato incriminato ma è riuscito a evitare la cattura. L’ex presidente della Costa d’Avorio, Laurent Gbagbo, è stato catturato dopo aver perso il potere e poi assolto, come il congolese Jean Pierre Bemba. Esemplare il caso dell’ex Presidente del Sudan, Omar Hassan al Bashir, il cui arresto venne chiesto per crimini nella guerra del Darfur e genocidio nel 2009, ma che addirittura fu rieletto e poté girare liberamente in Paesi come il Ciad, senza essere ammanettato. Soltanto nel 2019, quando cadde, cominciò la trafila per consegnarlo all’Aja. Nulla di fatto. Quanto a Putin, ha avuto l’accortezza di disertare un vertice in Sudafrica per non mettere in imbarazzo il suo presidente. Ma da allora ha viaggiato e incontrato capi di Stato, compreso il cinese Xi. Per di più, la Russia come gli Stati Uniti e Israele, non ha ratificato il Trattato di Roma istitutivo della Cpi, per cui la giurisdizione è limitata. Inoltre, la Corte interviene in sostituzione della magistratura nazionale, se questa non procede di sua iniziativa per crimini come quelli contro l’umanità o il genocidio. Ma Israele obietta di avere avviato proprie inchieste e essere dotato di un sistema giudiziario affidabile, democratico, perciò il mandato di cattura per “Bibi” sarebbe illegittimo. In ogni caso, la Cpi non ha propri uomini o strumenti per eseguire gli arresti e deve perciò affidarsi alle stesse autorità nazionali i cui leader dovrebbero andare a processo.Un meccanismo infernale che serve a emettere misure di principio, se non motivate da finalità politiche, senza alcun effetto reale. In più, i processi devono per forza celebrarsi in presenza. E questo spiega perché fino al 2024, in più di 25 anni, la Corte, che non è un organismo dell’Onu a differenza della Corte internazionale di giustizia, sia riuscita ad avviare soltanto 31 processi con 51 imputati, e abbia ottenuto appena 10 condanne definitive.